Partite Iva, reddito annuo da monitorare

Rispetto all’impianto iniziale, si è gradualmente attenuata la stretta sulle partite Iva introdotta con la riforma del lavoro (legge 92/2012), ma i committenti non possono dare per risolta la questione, soprattutto in caso di contenzioso con il lavoratore.
Il giro di vite che il legislatore aveva dato per arginare l’uso distorto di queste collaborazioni, è stato depotenziato:
econ le modifiche alle “spie” di possibile subordinazione introdotte dal decreto sullo sviluppo (Dl 83/2012), che hanno dilatato l’arco temporale di misurazione degli indici di liceità;
rcon l’emanazione, il 20 dicembre scorso, del Dm che individua le attività escluse dalla presunzione di subordinazione.
La circolare 32/2012 ha rinviato le prime verifiche a due anni dall’entrata in vigore della disposizione (quindi, dal 18 luglio 2014), senza dimenticare che è comunque possibile “sistemare” i rapporti non conformi alle nuove regole entro il 18 luglio prossimo (come prevede il comma 4 dell’articolo 69-bis del Dlgs 276/2003).
È opportuno, comunque, ripercorrere le verifiche da eseguire per evitare di far scattare il disconoscimento di queste forme contrattuali e quindi di dover contrastare la pretesa degli organi di vigilanza. Anche perché la coerenza con gli indirizzi forniti dalla circolare – se utile a frenare l’azione ispettiva – potrebbe non bastare, in caso di contenzioso con il lavoratore, rispetto alle valutazioni del giudice.
In primo luogo, è importante delimitare l’efficacia delle nuove norme, che coinvolgono persone titolari di partita Iva, operanti in attività di impresa individuale di servizi, o i lavoratori autonomi privi di un ordinamento o dell’iscrizione a un elenco.
La riforma del lavoro ha individuato parametri al verificarsi dei quali la collaborazione a partita Iva scivola, salvo prova contraria da parte del committente, nell’alveo delle collaborazioni coordinate e continuative. Si tratta di una presunzione “semplice” che comporta l’inversione dell’onere della prova a carico del committente: se questo non è in grado, però, di dimostrare l’esistenza di un progetto così come definito dalla nuova formulazione dell’articolo 67 della legge Biagi, e la presenza di tutte le altre caratteristiche qualificatorie di un rapporto di co.co.pro genuino, si presume la natura subordinata del rapporto, a tempo indeterminato e fin dalla sua costituzione.
La circolare non ha peraltro chiarito se la prova contraria per contrastare la presunzione possa essere fornita, oltre che dal committente, come emerge dal dettato normativo, anche dal collaboratore, il quale – trattandosi di un rapporto che soggiace a una specifica disciplina previdenziale e fiscale – potrebbe avere l’interesse a non vedere disconosciuto il suo inquadramento.
Il rapporto a partita Iva si converte in collaborazione a progetto e – in assenza dei requisiti – in rapporto di lavoro subordinato, se ricorrono almeno due delle seguenti condizioni:
ela durata della collaborazione supera gli otto mesi annui per due anni consecutivi;
ril corrispettivo costituisce più dell’80% dei corrispettivi annui complessivamente percepiti dal collaboratore nell’arco di due anni solari consecutivi;
til collaboratore dispone di una postazione fissa di lavoro in una delle sedi del committente.
La circolare 32/2012 ha illustrato i criteri che gli ispettori dovranno seguire per il controllo.
È bene, per precauzione, che il committente si faccia rilasciare dal collaboratore un’attestazione sui compensi percepiti complessivamente nell’anno, anche da altri committenti.
Tuttavia, la legge 92/2012 ha lasciato aperte alcune vie d’uscita, rispetto alla nuova presunzione di collaborazione coordinata e continuativa. Ci sono infatti due esimenti – che si devono realizzare insieme – per cui non opera la presunzione di co.co.pro: il lavoratore ha competenze teoriche elevate o particolari capacità tecnico-pratiche (la circolare 32/2012 fornisce alcuni esempi) e ha un reddito annuo da lavoro autonomo non inferiore a 1,25 volte il livello minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi alla gestione Inps commercianti (18.662,50 euro per il 2012).
Rimangono al riparo dalle modifiche della legge 92/2012 anche le prestazioni svolte nell’esercizio di attività professionali per cui è richiesta l’iscrizione a un ordine professionale o a registri.