Società, meno vincoli su bond e azioni

finanziamenti_soldi_168Provare a incentivare l’afflusso di nuova finanza alle imprese. Rafforzare la presa degli azionisti di controllo. Aumentare il perimetro dell’azionariato “ibrido”. Riconoscere un più elevato grado di specificità alle piccole e medie imprese. Diminuire la rilevanza del capitale sociale, tuttora centrale nel nostro diritto societario. Il decreto legge mette sul tappeto un pacchetto di modifiche al Codice civile che hanno il pregio di un filo conduttore e (qualche) rischio di abbassamento di garanzie.

Partiamo dal capitale sociale. Il decreto incentiva il ricorso alla società per azioni, di fatto sfumandone la distinzione rispetto al modello della società a responsabilità limitata, prevedendo più del dimezzamento del capitale necessario per la costituzione. Si passa da un minimo di 120mila euro a uno di 50mila. Con l’effetto tra altro di rendere necessario, nel medio periodo almeno, l’adozione del collegio sindacale da parte di tutte le srl che hanno capitale sociale entro il nuovo limite.

Ma il picconamento del ruolo del capitale sociale è dimostrato anche dalla cancellazione con un tratto di penna di due articoli del Codice civile, quelli che tuttora prevedono limiti all’emissione di obbligazioni, che deve essere contenuta entro valori al massimo pari al doppio del capitale sociale stesso. Come pure a essere soppresso è il divieto alla riduzione del capitale e alla distribuzione delle riserve per le società che hanno emesso bond. Chiaro l’intento: favorire la ricerca di capitali alternativa al circuito bancario. Ed evidente anche il pericolo: azzerare una specificità italiana fissata a presidio della “solvibilità” della società, a garanzia di creditori e investitori. È possibile però che in sede di conversione del decreto una riflessione del Parlamento sul punto possa portare a modifiche anche sostanziali.

Del capitale, inteso come freno, si può fare a meno, per il decreto, anche per quanto riguarda la possibilità di emettere azioni senza diritto di voto o con diritti di voto soggetti a limitazioni. Il testo attuale del Codice civile prevede la chance di emissione di questi titoli “ibridi” entro il tetto del 50% del valore del capitale. Il decreto cancella però questo limite e, di fatto, apre a una liberalizzazione assai ampia. Liberalizzazione che potrebbe trovare un parziale contrappeso nella possibilità, che però potrà (non dovrà) essere prevista dallo statuto, di riservare consiglieri di amministrazione o di sorveglianza oppure sindaci ai titolari di azioni con diritto di voto compresso o azzerato.

Sul difficile e mobile crinale dell’equilibrio tra esercizio del potere di controllo e assunzione del rischio si muove poi la cancellazione di un divieto che molto ha fatto discutere, quello all’emissione di azioni a voto plurimo. Una maniera per blindare il controllo e circoscrivere la contendibilità delle società, ma, nello stesso tempo, un adeguamento del diritto societario italiano a quanto oggi è previsto dalla larghissima maggioranza degli ordinamenti giuridici commerciali dei Paesi di capitalismo avanzato.
Inoltre, con questa ulteriore facoltà, che si muove peraltro nello spirito della riforma del diritto societario che già aveva di molto allargato i confini della flessibilità e della sovranità dello statuto, potrebbe essere più facile la distinzione tra soci realmente interessati alla gestione della società e altri interessati all’investimento finanziario. In ogni caso, è assai probabile che in sede di conversione possa essere inserita dal Tesoro una disciplina dedicata a questa categoria di azioni (esiste già un’ipotesi Consob).

Viene poi agevolata la “mobilità” societaria, favorendo l’acquisto da parte di soci, fondatori o amministratori: non servirà più necessariamente la relazione di un esperto nominato dalla magistratura che attesti il valore della società ceduta. Anche in materia di recesso del socio e di liquidazione del valore delle azioni sono previsti interventi per ampliare i confini della libertà statutaria, sia pure nel rispetto di limiti massimi.

Il decreto legge poi rafforza, con una serie di modifiche al Tuf, la specificità che deve essere riconosciuta alle Piccole e medie imprese, definendone un identikit in termini di fatturato e capitalizzazione e, nello stesso tempo, rivedendo, solo per loro, i limiti entro i quali deve scattare l’obbligo di opa e quelli oltre i quali, nel caso di partecipazioni incrociate, deve essere sospeso l’esercizio del diritto di voto.

Fonte: Il Sole 24 Ore