Il 2014 è delle blue chip

Nel 2014 le blue chip vincono sulle small cap in termini di rendimenti e conquistano il primo posto tra le asset class monitorate da Morningstar. E’ la prima volta dal 2000 a oggi. Nel complesso tutti gli stili di investimento, in termini di capitalizzazione e di tipologia di azioni (value, growth e blend), hanno registrato risultati positivi l’anno scorso e nell’ultimo quinquennio.

E’ stato un anno positivo anche per le obbligazioni governative e societarie a medio-lungo termine, mentre le materie prime sono state il fanalino di coda, principalmente a causa del crollo del prezzo del petrolio.

Se scendiamo nel dettaglio della componente obbligazionaria, le sorprese non mancano. I governativi a lungo termine hanno conquistato il podio per performance nel 2014 (18,2% l’indice Morningstar LT US gov’t bond), dopo che l’anno precedente erano stati il fanalino di coda. Questa posizione è invece toccata ai bond a breve termine (+1%). A livello mondiale, i rendimenti dei titoli di Stato decennali sono scesi (e quindi sono cresciuti i prezzi), in un contesto di attesa per l’aumento dei tassi negli Usa e di politica monetaria che rimane espansiva in Europa.

Asset class: chi vince e chi perde

Asset class: chi vince e chi perde

Le scelte degli investitori
Come si sono tradotte queste dinamiche nei portafogli degli investitori? Secondo ilMorningstar Market Observer, la buona performance dei mercati ha migliorato la posizione dell’asset allocation aggressiva (80% azioni Usa e 20% obbligazioni Usa) su quella prudente, ma quest’ultima ha dato i migliori risultati nei dodici mesi. A tre e cinque anni, è netto il vantaggio dei portafogli più rischiosi.

Gli investitori, tuttavia, si mostrano spesso impazienti, come mostra l’andamento della raccolta dei fondi, che continua a essere guidata da comportamenti che “inseguono le performance”, sbagliando i tempi di ingresso. Nel 2009, quando i mercati azionari hanno toccato i minimi, i risparmiatori hanno privilegiato il reddito fisso. Successivamente, nel 2013, c’è stata una rapida inversione di tendenza, così come nel 2014, quando sono tornati a crescere i flussi verso il reddito fisso (l’analisi è svolta sul mercato americano, ma dà utili indicazioni generali).

Il successo dei fondi passivi
Un altro trend emerso dallo studio è la netta preferenza per i fondi indicizzati, compresi gli Etf (Exchange traded product), rispetto a quelli attivi, soprattutto nelle categorie azionarie, dove i comparti Us equity gestiti attivamente hanno registrato una raccolta negativa, mentre i passivi sono largamente in territorio positivo. Segnali in questa direzione ci sono anche in Europa e sono diventati più marcati negli ultimi mesi. Non è un caso, che oltreoceano la società con la più alta raccolta nel 2014 sia stata Vanguard (+143,28 miliardi di dollari), colosso mondiale delle index strategy.

La variabile “costi” rimane determinante nella scelta dei fondi passivi. Infatti, il 65% del patrimonio degli indicizzati è allocato in comparti con un Ter (Total expense ratio) dello 0,10% o inferiore. Lo stesso non si può dire delle strategie attive, per le quali il costo è solo una delle variabili prese in considerazione. Gli investitori appaiono disponibili a pagare commissioni più elevate se il manager è di comprovata esperienza. Gli active funddetengono ancora la fetta più grande del patrimonio complessivo negli Stati Uniti (3.725 miliardi di dollari), anche se la loro quota si sta restringendo (2.253 miliardi sono in mano a quelli indicizzati).

Fonte : MorningStar