La Bce anestetizza la crisi greca

«Never fight the Fed». Negli Stati Uniti, patria della finanza, esiste un motto: «Mai andare contro la banca centrale». Mai sfidarla, mai contrastarla. Per guadagnare in Borsa, bisogna assecondarla. In Europa, dove non esistono proverbi finanziari autoctoni, gli investitori sembrano essersi perfettamente allineati alla “saggezza” americana: sebbene la crisi greca rischi di diventare esplosiva, è infatti la Banca centrale europea a guidare i mercati finanziari.

La Grecia, almeno per ora, appare alla maggioranza degli operatori solo un rumore di fondo. Produce solo l’occasione per incassare i profitti dei rally delle Borse. Ma nessuno, sul mercato, sembra preoccuparsi davvero: perché la Bce, con i 60 miliardi di euro stampati ogni mese, tranquillizza tutti. Nessuno, almeno per ora, la contrasta: neppure il timore per la bomba greca.

Bce più forte di Atene
Che il «quantitative easing» (cioè l’iniezione di liquidità da parte della Bce) sia più “forte” della crisi di Atene, lo dicono i numeri che arrivano dai mercati stessi. C’è un grafico che parla da solo: quello che rivela come la correlazione tra i BTp italiani e i titoli di Stato greci sia ai minimi dalla nascita dell’euro. Fino all’inizio della crisi finanziaria del 2008, l’andamento dei due titoli di Stato era sincronizzato: saliva uno saliva l’altro, scendeva uno scendeva l’altro. La correlazione, fino a fine 2008, era praticamente pari a 1: cioè quasi perfetta. Poi, con l’inizio della crisi greca nel 2010, si è invertita: i titoli di Atene soffrivano molto (i loro rendimenti salivano), ma quelli italiani reggevano molto meglio. Quell’anno, per la prima volta, la correlazione tra BTp e titoli greci stata dunque negativa (l’indice è andato fino a -0,4). Poi, con alti e bassi, dal 2012 a fine 2014 è tornata positiva, avvicinandosi ancora a uno. Ma nel 2015 è diventata nuovamente negativa, fino a toccare il 15 aprile scorso il minimo storico di -0,82.
Titoli greci e BTp, insomma, sono diventati quasi perfettamente divergenti: soffrono i primi, godono i secondi. Questo significa che nel 2015 la Grecia ha vissuto una crisi finanziaria isolata, che non ha minimamente contagiato l’Italia sui mercati. E lo stesso si può dire di Spagna e Portogallo: anche nei confronti dei loro titoli di Stato la correlazione è sui minimi storici. Persino negli ultimi due giorni di turbolenza sui mercati non è cambiato molto: da -0,82, la correlazione tra BTp e titoli greci è salita a -0,81. Un movimento minimo, che lancia un messaggio ben preciso: i mercati – almeno per ora – non temono che Atene, qualunque sia l’epilogo della sua vicenda, possa contagiare gli altri Paesi del Sud Europa.

Il motivo di questa convinzione – giusta o sbagliata che sia – è proprio legato alla Bce, che a marzo ha varato il suo «quantitative easing»: questo significa che l’istituto centrale ogni mese stampa 60 miliardi di euro e con i soldi “nuovi” compra titoli di Stato (e altro) sul mercato. Questa manovra monetaria ha prodotto grandi effetti sui mercati. Ha fatto crollare l’euro: dal 22 agosto scorso, quando a Jackson Hole si è iniziato a parlare di «Qe» in Europa, la moneta unica ha perso l’11,17% rispetto alle valute di tutti i partner commerciali. Ha anche abbassato in maniera netta i rendimenti dei titoli di Stato. Ancora gli effetti sull’economia reale sono limitati (minimi sono i segnali sul credito alle imprese e sull’inflazione), ma sui mercati la Bce ha avuto un effetto senza dubbio dirompente. E anche ora che la Grecia rischia seriamente il default, gli operatori ritengono che il «quantitative easing» sia in grado di limitare in maniera sostanziale l’impatto nel resto d’Europa.

I mercati hanno ragione?
Questo è ciò che pensano i trader, anche dopo due giorni di turbolenze sulle Borse: che Atene non costituisca un vero problema per il resto d’Europa. Ma se da un lato questo può rasserenare (perché riduce le probabilità di un vero panico finanziario), dall’altro può anche preoccupare: perché dimostra per l’ennesima volta quanto i mercati finanziari siano inebriati dalle iniezioni di liquidità e quanto siano ormai dipendenti dalle banche centrali. Per loro, ormai, un’alzata di ciglia di Mario Draghi o di Janet Yellen è più importante di un Paese europeo sull’orlo dell’abisso economico-finanziario. A pensarci bene, è terrificante.
Per di più non è detto che, in questo loro ottimismo, i mercati abbiano per forza ragione. Perché i canali di trasmissione di un possibile contagio da Atene al Sud Europa, qualora il Paese finisca in default o esca dall’euro, sono potenzialmente tanti. Sia sul fronte bancario, sia su quello statale (si veda il Sole 24 Ore di venerdì scorso). Nessuno può prevedere oggi gli effetti a catena di un evento traumatico in Grecia. Se per ora i mercati ostentano grande tranquillità, dunque, è perché sono inebriati dalla liquidità della Bce. Ma che abbiano ragione, è tutto da dimostrare.

Fonte : Il Sole 24 Ore