Fed al crocevia: crisi europea e petrolio danno voce a chi esorcizza i rialzi dei tassi

downloadNew York – Forse la Fed oggi cambierà davvero come da copione la fraseologia, emenderà il suo comunicato cancellando quella promessa di mantenere ancora “a lungo” tassi di interesse ai minimi. E così facendo compirà un altro passo per consegnare la staffetta di una politica monetaria ultra-accomodante all’Europa. Ma a Wall Street, tra le pieghe del mercato e del consensus, delle previsioni medie e non sempre indovinate, si fa in realtà strada un insistente ritornello “ribelle”: not so fast. Piano, con i rialzi dei tassi.

Perché l’economia globale resta in bilico, con la Cina che rallenta e un’Europa senza cure per la sua malattia. Perché incognite e rischi sono semmai in aumento, quelli strettamente economici come quelli politico-economici: il crollo dei prezzi del petrolio scuote profondamente paesi ben al di là del Medio Oriente, che vanno dal Brasile al Venezuela. Fino a una Russia che ha gia’ mostrato una preoccupante propensione alle soluzioni militari dei problemi.

Non solo. Il greggio scuote anche un settore strategico statunitense, quello dell’energia, che potrà essere minoritario quando paragonato all’insieme dell’economia e dei consumi che beneficiano nell’immediato di cali nei carburanti ma la cui crisi puo’ avere conseguenze a catena. Può facilmente contagiare altri comparti aziendali e avere effetti a cascata sulla piazze finanziarie, alimentando fughe dal rischio in molteplici categorie di asset. Un esempio? Che dire delle obbligazioni spazzatura ormai fonte cruciale di finanziamento di tante imprese che nulla hanno a che fare con l’energia?

Il premio Nobel e decano degli economisti liberal Paul Krugman ha di recente dato alle stampe il proprio pronostico pubblico che il 2015 non vedrà alcun rialzo dei tassi d’interesse americani da parte della Banca centrale. La sua non è una posizione isolata, limitata all’accademia o alle correnti progressiste. Mark Grant, managing director di Southwest Securities, è una simile voce di dissenso dal “consensus” meno pubblica e non ideologica ma in prima fila a Wall Street. «La Fed sarà costretta a riesaminare qualunque nozione di aumento dei tassi dagli eventi mondiali», scrive.

Il suo ragionamento, affidato ad una lettera quotidiana ai clienti, considera molteplici fattori di tensione, dalle ripercussioni dei movimenti del petrolio ai numeri del mercato del lavoro americano, che considera esageratamente rosei perchè non tengono conto di una disoccupazione nascosta dalla fuoriuscita di troppi dalla forza lavoro. E’ l’Europa, però, uno dei nodi principali.

Il pessimismo sui dilemmi dell’Eurozona è forse estremo, ma riflette uno scetticismo diffuso. Il tanto invocato “bazooka” di Mario Draghi appare a Grant e ai critici come lui poco più di un’arma giocattolo. Non e’ affatto convinto che la Germania gli consentirà di usare proiettili veri di Quantitative Easing. E, se anche fosse, il loro impatto potrebbe non “uccidere” crisi e recessione. I tassi d’interesse europei sono già scesi sotto ogni ragionevole livello, stando ai dissidenti statunitensi, e non hanno più alcun cammino da percorrere al ribasso. Ingenti stimoli sotto forma di aiuti alle banche hanno inoltre dimostrato ben poca efficacia per l’economia reale europea.

Mentre la battuta a Wall Street è che le cattive condizioni dell’economia del Vecchio continente sono imbellite dalle statistiche ufficiali: Grant è un duro critico della scelta di includere nel Pil attivita’ illegali, che non generano entrate per lo stato, e di contare quali asset e non come liabilities la spesa in ricerca e quella militare.

Questo quadro niente affatto roseo, nonostante le promesse della Fed di guardare solo in casa propria (ma la casa è ormai un villaggio globale), dovrebbe consigliare una rotta ben diversa da una qualche stretta sui tassi da metà dell’anno prossimo. I dissidenti non darebbero troppo peso neppure a un cambio del linguaggio nel comunicato per tener fede ad attese create tra gli operatori, una svolta che si farebbe sempre in tempo a correggere nuovamente quando le bufere internazionali si faranno sentire nei primi mesi del 2105 negli Stati Uniti.

Con un’Europa in ineluttabile crisi, oltretutto, fughe di capitali verso le comunque più solide e affidabili sponde americane continueranno e semmai accelereranno anche senza aumenti del costo del denaro, che rischierebbero soltanto di aggravarle eccessivamente. I bond statunitensi per Grant sono così destinati a rendimenti ancora in calo l’anno prossimo. La Borsa a perdere forse oltre il 10 per cento. E i tassi interbancari manovrati dalla Fed a restare fermi dove sono. Parola di dissidente.

Fonte : Il Sole 24 Ore