BTp a 7 anni – domani al test del mercato

Il nuovo BTp a 7 anni annunciato dal Tesoro potrebbe affrontare già da domani la prova del mercato. Lo riferiscono a Radiocor fonti finanziare secondo cui, se il mercato si manterrà stabile, i libri per la raccolta degli ordini potrebbero essere aperti già domani mattina. Per la prima emissione é plausibile che il Tesoro emetta almeno 3 miliardi di euro, con la possibilità che si salga fino a 5 miliardi nel caso di richieste consistenti.

Il ministero dellôEconomia ha affidato a Crédit Agricole Corp. inv. Bank, Credit Suisse Securities (Europe) Ltd, HSBC France e Unicredit Spa, il mandato per il collocamento inaugurale, mediante sindacato. La transazione sarà effettuata in relazione alle condizioni di mercato. La decisione di entrare sulla scadenza settennale, informa il Tesoro, fa seguito a specifiche indagini di mercato svolte durante questi mesi, che hanno evidenziato un’attenzione crescente da parte di investitori ed emittenti su questo segmento della curva dei tassi di interesse. Il nuovo BTP a 7 anni costituirà un punto di riferimento aggiuntivo sulla curva dei rendimenti italiana e, allo stesso tempo, andrà a coprire una domanda in costante aumento da parte degli investitori, che non poteva essere soddisfatta senza un titolo benchmark su questa scadenza.

Gli Investitori USA tornano in Europa

Cresce il numero di investitori americani che comprano azioni del Vecchio continente. Merito dei segnali di ripresa e delle valutazioni. Ma la situazione da questa parte dell’Atlantico, dicono gli operatori, resta fragile.

Gli americani credono alla fine della crisi in Europa. E si fanno venire l’appetito per gli asset del Vecchio continente. Secondo uno studio di Goldman Sachs, gli investitori Usa fra gennaio e maggio di quest’anno hanno comprato azioni europee per 65 miliardi di dollari. Si tratta del valore più alto da prima dello scoppio delle crisi finanziarie. La scelta degli operatori yankee si basa principalmente su due considerazioni: il miglioramento dello scenario macro e le valutazioni dell’equity.

“Il recupero dell’Europa sta cominciando ad autoalimentarsi ed ha sempre meno bisogno dei piani di aiuto delle istituzioni internazionali”, spiega Robert Johnson, responsabile della ricerca economica di Morningstar. “I consumatori e le aziende iniziano a sentirsi più sicuri. In questo senso aiutano sia l’allentamento di alcune misure di austerità che la ripresa delle esportazioni verso alcune zone emergenti”.

Situazione fragile

Questo, tuttavia, non significa che lo scenario sia tranquillo. “La situazione in Europa resta fragile per diverse ragioni”, spiega uno studio di Invesco. “La crescita del quarto trimestre potrebbe essere messa in discussione dai numeri sulla produzione industriale di luglio (-1,7%) che hanno annullato il +1,5% messo a segno a giugno. Alcuni paesi periferici, inoltre hanno bisogno di altri aiuti per venire a capo del debito. E’ vero che la recessione è finita, ma alcuni stati devono ancora fare i conti con un rapporto fra debito e Pil superiore al 100% che agisce da zavorra nei confronti della crescita economica”.

Le valutazioni

“Su base globale, in particolare contro gli Stati Uniti, le valutazioni sono interessanti e siamo ancora una volta in grado di trovare un numero crescente di opportunità di investimento”, spiega una nota firmata da Mark Burgess, Chief investment officer di Threadneedle Investments. “Con la crescita globale che sta diventando più robusta di quanto non lo sia stata da qualche tempo, la prospettiva per molti dei campioni mondiali quotati sul mercato europeo è migliorata e siamo diventati più ottimisti verso questa asset class muovendoci verso la posizione neutrale. Per cambiare le nostre previsioni da neutrale a sovrappeso, però, avremmo bisogno di vedere una maggiore ripresa per l’economia europea sottostante”.

Usa – Shutdown – Mercati

Wall Street spera in una soluzione per la paralisi degli uffici governativi e viaggia con il segno più. Sale anche l’Europa. Milano guadagna l’1,6%. Bene le banche grazie al calo dello spread.

Wall Street è positiva dopo una partenza contrastata. I listini cercano una direzione sulla scia delle preoccupazioni per la paralisi federale ancora in corso negli Stati Uniti. Gli operatori sono convinti che una soluzione sarà trovata presto. Per ora il danno non è sensibile, ma se lo shutdown si protrarrà, secondo il dipartimento del Tesoro, l’impatto sull’economia (e quindi sui mercati) potrebbe essere simile a quello provocato dal crack di Lehman.

Intanto un effetto c’è già stato: il Dipartimento al lavoro non ha pubblicato il dato sull’occupazione di settembre, lasciando gli investitori al buio su un tema che solitamente influenza l’andamento della Borsa. A Wall Street viaggiano bene i tecnologici, sostenuti da Facebook, che guadagna sulla notizia che la controllata Instagram comincerà a introdurre pubblicità a pagamento.

Europa positiva

Nel Vecchio continente, seduta con il segno più per le Borse di Eurolandia, dove prevale l’ottimismo rispetto alle questioni americane e grazie alle ricoperture seguite alla discesa di ieri. A Milano, dove l’indice Ftse/Mib ha segnato +1,6%, seduta in forte rialzo per il comparto bancario grazie al rafreddamento dello spread fra Btp e Bund sceso sotto i 250 punti base. Al centro dell’attenzione Finmeccanica, dopo la cessione dell’85% di Ansaldo Energia al fondo strategico della Cdp.

Area Euro – Tasso di disoccupazione stabile

Il tasso di disoccupazione Nell’Area Euro è rimasta invariata al 12 per cento nel mese di agosto del 2013 dal 12 per cento nel mese di luglio del 2013. Tasso di disoccupazione Nell’Area Euro è riportato da Eurostat. Area Euro Tasso di disoccupazione in media 9,37 per cento dal 1995 al 2013, raggiungendo un massimo storico di 12,10 per cento nel mese di giugno del 2013 e un minimo record del 7,20 per cento nel mese di febbraio del 2008. In Area Euro, il tasso di disoccupazione misura il numero di persone attivamente alla ricerca di un posto di lavoro come percentuale della forza lavoro.

Area Euro Tasso di disoccupazione

Il Governo USA chiude. Ora si punta a evitare il default

Da oggi formalmente il Governo USA ha rinserrato i forzieri, congelando tutte le spese non strettamente necessarie al suo funzionamento (uffici federali, spese per la difesa, spese per la sanità e così via). Erano diciassette anni che non si verificava una situazione di questo genere, nota come “shutdown”, l’ultima durante l’Amministrazione Clinton.

Quanto accaduto rischia di avere impatti pesanti sull’economia, non solo perché si prevede un impatto negativo sul PIL del 4° trimestre che va dallo 0,3% all’1,4% a seconda della durata del blocco che potrebbe essere di due settimane o più. L’ultima volta che accadde nel 1996 il congelamento delle spese durò venti giorni.

Lo “Shutdown” è una ipotesi esplicitamente prevista dalla costituzione americana e prevede il taglio di tutte le spese superflue, vale a dire che sono a rischio ben 700 mila buste paga nel pubblico impiego, ma è incerta anche la pubblicazione di report di natura economica come quello sul mercato del lavoro, che è pubblicato dal Bureau of Labour Statistics ed le richieste settimanali di sussidio, che sono pubblicate dal Dipartimento del Commercio americano.

Netta presa di posizione del Presidente Barack Obama che, alla vigilia dello Shutdown, ha dichiarato che non si rassegnerà alla paralisi dello Stato e che assicurare il funzionamento della macchina pubblica è un preciso dovere dei rappresentanti del Congresso, siano essi Democratici e Repubblicani.

Il fallimento delle trattative sul budget è stato causato dal mancato accordo sui tagli alla spesa, ma soprattutto dalla proposta dell’opposizione repubblicana di rinviare di un anno l’ObamaCare.

IN realtà la questione è anche più grave, perché nasce da due ordini di problemi, uno quello relativo al budget ed al finanziamento delle spese correnti, l’altro relativo all’imminente sforamento del tetto del debito che oggi è pari a 16.700 miliardi di dollari. Quest’ultimo aspetto, anzi, assume oggi una certa urgenza, perché l’inerzia poterebbe gli Stati Uniti automaticamente in default.

E’ in questa direzione che si è mosso Obama per sollecitare il variegato popolo di Capitol Hill, facendo appello alla reputazione degli Stati Uniti ed evidenziando i rischi per l’economia globale. Il tetto dle debito va aumentato e su questo punto non c’è da discutere.

Fra l’altro, il Segretario al Tesoro Jack Lew, la scorsa settimana, ha annunciato che il 17 ottobre le casse saranno vuote, poiché resteranno solo 30 miliardi, non sufficienti a finanziarie un giorno di più le spese statali.

La cura Abe funziona. In Giapponie ottimismo delle imprese ai massimi dal 2007

La cura Abe funziona. Ottimismo delle imprese ai massimi dal 2007Migliora l’indice Tankan giapponese, la statistica che misura la fiducia delle grandi imprese manifatturiere in Giappone, che si porta sui massimi da fine 2007 confermando il miglioramento dell’economia nipponica. Un effetto delle misure espansive messe in campo dal nuovo Premier con l’Abenomics.

Il dato, comunicato dalla Banca del Giappone (BOJ), risulta a settembre pari a 12 punti da 4 della lettura precedente ed appare migliore delle attese degli analisti che erano per un aumento a 7 punti. Un valore superiore allo zero segnala che le imprese ottimiste sono più numerose di quelle pessimiste.

L’indice non manifatturiero per le grandi imprese sale a 14 punti da 12 precedente. Bene anche l’indice relativo alle medie imprese che passa a 0 da -4, mentre quello relativo alle piccole imprese sale a -9 da -14 punti.

Rendimenti BOT ai minimi da maggio. Tiene la fiducia dell’Italia

Rendimenti BOT ai minimi da maggio. Tiene la fiducia dell'ItaliaNonostante la nuova ondata di incertezza che ha investito la politica italiana, con il pugno duro del Pdl sulla questione della decadenza di Silvio Berlusconi, i mercati sembrano voler dare ancora fiducia al Paese, complici forse anche le parole lungimiranti pronunciate ieri dal Premier Enrico Letta prima al Nyse e poi all’ONU.

L’asta odierna dei BOT a 6 mesi è stata un vero e proprio successo,a a conferma della tenuta della reputazione dell’Italia all’estero. Il rendimento dei titoli di stato a breve è scivolato allo 0,781% dallo 0,886% dell’asta precedente, posizionandosi sui minimi dal mese di maggio.

Soddisfacente il collocamento anche sotto il profilo dei quantitativi, poiché sono stati piazzati 8,5 miliardi di euro di BOT semestrali, con un bid-to-cover di 1,45 rispetto all’1,47 della precedente asta.

Super-euro, debolezza dollaro e Bce

Super-euro, come risponderà la Bce?Con l’inattesa mossa della Fed, di non ridurre il piano di acquisti di bond per 85 miliardi di dollari al mese, lo scenario cambia almeno fino a fine anno. Probabilmente sarà la riunione del Fomc del 18 dicembre, l’ultima di Ben Bernanke, a svelare i nuovi orientamenti visto che a metà ottobre resta da risolvere il nodo del debt ceiling (il tetto all’indebitamento) negli Usa. Intanto il dollaro si indebolisce e l’euro si rafforza.

Come ricorda anche Ubs, il mancato “tapering” della Fed porta a rivedere le previsioni sul dollaro. L’indebolimento del biglietto verde potrebbe spingere la moneta unica ai massimi dell’anno intorno a 1,37. La mina del supereuro potrebbe zavorrare la già debole crescita del Vecchio Continente. La palla adesso passa a Draghi: la Bce si riunirà il 2 ottobre. Cosa deciderà per frenare il cambio?

La Fed è apparsa molto allarmata del repentino rialzo dei tassi, una mina per la ripresa. A livello internazionale, l’incremento più significativo che si è verificato negli ultimi mesi è stato l’incremento dei rendimenti del bond decennale di riferimento Usa (T-note) e in minima parte del Bund tedesco. Sono i due titoli di Stato più sicuri, la cui domanda è balzata durante la fase più acuta della crisi schiacciando i rendimenti. Era quindi fisiologica un’inversione: da marzo a oggi lo yield del decennale Usa è passato dal 2 al 3%, mentre per esempio quello del BTp ha registrato una flessione, passando dal 4,8% al 4,4% confermando che è improprio parlare genericamente di rialzo dei tassi. Nella fattispecie italiana esiste, infatti, una variabile Paese legata al rischio politico e alla mancata crescita.

Per il risparmiatore tipo americano questo rialzo dei tassi si fa già sentire: i mutui sono più onerosi e le ultime statistiche del settore immobiliare indicano una frenata. Ovviamente con i tassi in aumento cresce la remunerazione sui titoli di Stato da acquistare. Per il risparmiatore italiano, come abbiamo visto, il discorso non è perfettamente sovrapponibile.

L’aumento dei rendimenti sui titoli decennali sta avvenendo in un contesto di tassi di riferimento vicino allo zero da parte delle Banche centrali (Fed e Bce in testa). Esiste un collegamento tra le due variabili?

«Sicuramente – spiegano del servizio Studi e ricerche di Intesa Sanpaolo – esiste una correlazione che passa dal rendimento dei titoli a breve. Quando la Banca centrale comincia ad alzare i tassi, i titoli a breve lo incorporano. Oggi il mercato sconta un futuro aumento dei tassi di riferimento della Fed a partire dalla metà del 2015 e quindi i rendimenti a breve sono particolarmente compressi. Per capire le evoluzioni future della Banca centrale sarà necessario seguire con attenzione le future aspettative su inflazione e disoccupazione».

Fondi di investimento, ad agosto raccolti 5,4 miliardi

Un altro dato positivo. Ad agosto l’industria del risparmio gestito ha incassato complessivamente 5,4 miliardi, circa un miliardo in meno rispetto a luglio, ma comunque una cifra che ha permesso al settore di raccogliere dall’inizio dell’anno 52,5 miliardi, eguagliando l’ammontare incassato nel corso dell’intero 2005. Insomma, lasciata la crisi alle spalle, il 2013 potrebbe addirittura diventare l’anno migliore del decennio, almeno in termini di flussi.

Ancora una volta sono state le gestioni collettive a portare in dote il saldo più consistente (3,3 miliardi), mentre dalle gestioni di portafoglio di miliardi ne sono arrivati 2,2. Protagonisti indiscussi ad agosto sono stati i fondi aperti, attraverso i quali nelle casse dei gestori sono entrati 3,3 miliardi, e i mandati istituzionali, con flussi per oltre 2 miliardi.

In rialzo anche il patrimonio totale che ha sfiorato i 1.270 miliardi (dei quali 569 in capo alle gestioni collettive e 701 a quelle di portafoglio) e ha registrato l’ennesimo record.

I fondi
Non ci sono grandi novità rispetto a luglio nella destinazione dei flussi. Sono ancora i flessibili la tipologia più gettonata che, grazie soprattutto al contributo dei fondi a cedola, hanno portato a casa 2,3 miliardi. E fin qui nulla di nuovo. La novità riguarda, invece, i fondi monetari che sono tornati a essere oggetto di un timido interesse da parte dei sottoscrittori, come dimostra il saldo di 358 milioni. Hanno innestato la marcia indietro, invece, gli azionari; dopo il buon andamento di luglio sono stati l’unica categoria a chiudere agosto in territorio negativo (-33 milioni). Per quanto riguarda il domicilio, i prodotti di diritto italiano hanno confermato il buon andamento con un dato positivo per 1,3 miliardi, ma i più ricercati restano gli esteri con una raccolta di oltre 2 miliardi.

Le performance.
Su base annua sono gli azionari Italia i top performer con una rivalutazione media del 19%. Pollice verso, invece, per azionari e obbligazionari specializzati nei paesi emergenti in perdita rispettivamente per il 5,7 e per il 5,4%. Tra i singoli prodotti i migliori sono quelli che hanno puntato sull’Italia, in particolare sulle Pmi, sul settore finanziario e nell’area asiatica (il fondo più brillante in assoluto è stato Interfund Equity Japan). Più penalizzati i prodotto emergenti (chiude la graduatoria un altro fondo Interfund specializzato però sui bond giapponesi).

Enel fa il tutto esaurito con il bond ibrido in dollari

Enel fa il tutto esaurito con il bond ibrido in dollari - La maxi-cedola che rafforza il patrimonioAnche la tranche in dollari sbanca il mercato e fa registrare una domanda oltre 7 volte il quantitativo offerto. È questo l’esito dell’operazione condotta ieri dall’Enel sul mercato statunitense: la società aveva proposto una size tra 700 milioni e un miliardo di dollari, gli investitori hanno avanzato richieste per oltre 7 miliardi. Alla fine il quantitativo assegnato si attesta a 1,25 miliardi di dollari, portando l’ammontare complessivo delle obbligazioni ibride emesse dal gruppo guidato da Fulvio Conti – incluse le tranche in euro e sterline di inizio settembre – a 2,7 miliardi di euro, oltre la metà del target di 5 miliardi da collocare entro il 2015.

Se si considera la domanda pervenuta per le due precedenti tranche – circa 6 miliardi di euro – emerge che tra Vecchio Continente e Stati Uniti gli investitori erano pronti a mettere sul piatto oltre 12 miliardi per aggiudicarsi quel bond. La riprova che la liquidità da investire resta elevata, ma anche che la società elettrica italiana è considerata comunque un asset su cui scommettere. Certo, la cedola offerta è di quelle che non ci si vuole lasciar scappare: la tranche in dollari, alla fine, ha spuntato qualche punto percentuale in meno rispetto alle attese, ma si colloca poco sotto il 9%, con un rendimento dell’8,87% e una cedola dell’8,75 per cento. Era dal 2010 che una corporate italiana non si affacciava sul mercato obbligazionario Usa (Enel l’ultima volta l’aveva fatto tra il 2007 e il 2009). E gli investitori americani hanno preteso una forte motivazione in termini di resa dell’investimento per tornare a comprare debito corporate made in Italy. In ogni caso, tenuto conto del differenziale dei tassi tra dollaro ed euro e rapportando la cedola alla valuta europea, il tasso si attesta attorno al 7,5 per cento. Un onere ritenuto sostenibile dalla società e che porta il costo medio delle tranche ibride attorno al 7 per cento.