Il Pil europeo non infiamma i mercati

L’Europa esce ufficialmente dalla più lunga recessione della sua storia, ma il mercato non sembra infiammarsi più di tanto.

Eurozona fuori dalla recessione, bene Francia e Germania
Il dato clou della giornata, il Pil dell’Eurozona non ha deluso le attese, anzi le ha superate. Nel secondo trimestre del 2013 Eurolandia è infatti cresciuta dello 0,3% (si prevedeva un +0,2%), mettendo così fine a 6 trimestri consecutivi di recessione. In precedenza indicazioni favorevoli erano giunte da Francia e Germania. Sempre nel secondo trimestre dell’anno il Pil tedesco è cresciuto 0,7% (oltre le stime di consensus che indicavano +0,6%) e quello francese è salito dello 0,5% marcando l’uscita dalla recessione per il Paese transalpino (le previsioni degli analisti indicavano appena +0,1% dopo il -0,2% del trimestre precedente). Sempre in Francia, i prezzi al consumo sono diminuiti dello 0,3% a luglio rispetto al mese precedente e aumentati dell’1,1% su base tendenziale.

C’è luce in fondo al tunnel?

Da diversi giorni ormai salgono le Borse, si rafforza l’euro e si riduce lo «spread» dei paesi periferici, Italia compresa. In un agosto fino a ora piuttosto sonnacchioso, è infatti quello della «ripresina» il tema trainante dei mercati finanziari: un movimento che oggi cercava appunto le principali conferme con i dati preliminari sul Pil dell’Eurozona. L’Italia resta ancora in frenata, ma non c’è dubbio che gli effetti dell’accelerazione dei Paesi limitrofi darebbero spinta anche alla nostra economia, alla Borsa e ai titoli di Stato come è avvenuto nelle ultime settimane.

Tassi in salita per il Bund

Sul versante del reddito fisso resta da sottolineare la riduzione dello spread Italia-Germania (segui il valore del differenziale BTp-Bund e i rendimenti dei titoli dell’Eurozona in diretta) a quota 239 punti base sul decennale. Un movimento limitato e dovuto principalmente al Bund, i cui rendimenti sono saliti all’1,8%, massimi da 7 settimane. Stamani la Germania ha collocato titoli a 10 anni per 3,2 miliardi di euro a un tasso appunto dell’1,8%, in crescita rispetto all’1,57% di un mese fa, ottenendo richieste per 4,3 miliardi (rapporto di copertura 1,3 cotnro l’1,6 di luglio).

Il «tira e molla» sul quantitative easing
Non manca oggi anche il consueto interesse per le dichiarazioni dei banchieri della Federal Reserve, alla ricerca di indicazioni sulle future mosse di politica monetaria. Ieri è toccato a Dennis Lockhart, presidente della Fed di Atlanta, frenare le attese per una riduzione del «quantitative easing» da parte della banca centrale Usa già a settembre: i dati macroeconomici a disposizione non sarebbero ancora sufficienti per avviare il cosiddetto «tapering», cioè il taglio del piano di acquisti di asset finanziari che va avanti al ritmo di 85 miliardi al mese. Oggi qualche indicazione in più potrebbe arrivare da James Bullard, presidente della Fed di St. Louis e membro votante del comitato operativo della banca di Washington.

La spinta di Tokyo

Chiusura in rialzo dell’1,32% per la Borsa di Tokyo, a capo di una seduta non contrassegnata da una direzione chiara, in una settimana tradizionalmente di ferie e quindi di bassa attività. L’indice Nikkei 225 é cresciuto di altri 183,16 punti, dopo i 350 guadagnati martedì, attestandosi a 14.050,16 punti, agevolato da un calo dell yen nelle ultime fasi di contrattazione. L’indice allargato Topix é cresciuto dell’1,23% guadagnando 14,19 punti a quota 1.171,34.

L’asta BOT è stata un successo. Rendimenti in calo

L'asta BOT è stata un successo. Rendimenti in caloIl Tesoro italiano ha collocato tutti i 7,5 miliardi di euro all’asta odierna di BOT annuali.
L’asta dunque è stata un successo per la Penisola, che ha visto il tasso scendere all’1,053%, minimo da giugno, dall’1,078% della precedente asta di luglio.
La domanda è risultata pari a 1,49 volte l’offerta rispetto al bid-to-cover di 1,56 fatto registrare nell’asta precedente.
Si conferma il calo lo spread BTP-Bund a 248 punti, ovvero sui minimi degli ultimi due anni.

Fitch conferma il Lussemburgo tra i paesi virtuosi

Fitch conferma il Lussemburgo tra i paesi virtuosiBuone notizie per il Lussemburgo che rimane tra i paesi virtuosi.
Fitch ha confermato il rating sul Granducato lasciando invariata la “AAA” del Paese con outlook è stabile. Ad annunciarlo l’agenzia in una nota dove mette in evidenza che il “Lussemburgo è un paese ad alto reddito con dinamiche macroeconomiche favorevoli rispetto agli altri Paesi dell’area euro. Nonostante il rallentamento della crescita, la performance del Lussemburgo è stata migliore di quella dell’area euro”.

La Fed non è ancora pronta a deporre le armi

C’è grande attesa per le decisioni della Federal Reserve sulla politica monetaria, in arrivo stasera, non perché ci si attenda qualche imminente modifica, quanto piuttosto per capire quale sarà la roadmap del cosiddetto “tapering”, ovvero un ritiro graduale e progressivo delle misure di quantitative easing, che ad oggi valgono 85 miliardi al mese.

Stando alle ultime dichiarazioni del Presidente Ben Bernanke, proprio qualche giorno fa a Capitol Hill, non vi è certezza su “quando” e “come” verrà avviata l’exit strategy di una politica monetaria fortemente espansiva, attuata dalla Fed all’indomani della crisi finanziaria.

Il numero uno della Fed, noto come “colomba” in capo, per la sua predilezione al mantenimento degli stimoli il più a lungo possibile, ha affermato che gli stimoli resteranno in vigore se non si registrerà un chiaro e netto miglioramento dei dati macroeconomici.

Gli indicatori economici, ultimamente, hanno un po’ deluso, soprattutto quelli sul mercato immobiliare, ma il tratto distintivo sarà i, tasso di disoccupazione, che resta ancora piuttosto elevato rispetto al target del 6,5% fissato dalla banca centrale statunitense. Intanto, venerdì sarà pubblicato il nuovo Job Report relativo al mese di luglio.

Bernanke ha però precisato che non è certo che l’avvio del “tapering” cadrà in autunno e che, anzi, potrebbero essere aumentati gli stimoli in caso di peggioramento della congiuntura. Un’ipotesi chiaramente fin troppo pessimistica e non aderente alla realtà, ma le valutazioni di questo incontro sdaranno determinanti nel capire se qualche stretta ci sarà a settembre o ottobre.

Poi, bisognerà capire come si muoveranno le altre due colombe della Fed, la vice Janet Yellen, sempre più favorita per la successione alla presidenza, e William Dudley, Presidente della Fed di New York e vice presidente del comitato di politica monetaria

Standard & Poor’s taglia il rating a 18 banche italiane

Standard & Poor’s ha tagliato il rating a lungo termine di 17 banche italiane, ma ha salvato Intesa Sanpaolo e Unicredit. In particolare è stato abbassato a BBB- il rating di Ubi Banca e Credito Emiliano, a BB+ quello di Fga Capital, Iccrea Holding e Medio credito centrale. Declassate, invece, a BB, Banca popolare di Vicenza, Veneto Banca, Banca Popolare di Milano, Banca Popolare dell’Emilia Romagna e Banco Popolare Societa Cooperativa. Scende a BB- l’Unipol. L’agenzia ha confermato il giudizio, oltre che per Intesa e Unicredit, anche per Istituto per il Credito Sportivo, Banca Fideuram, Mediobanca, Banca Popolare dell’Alto Adige, e Istituto Centrale delle Banche Popolari Italiane. Tagliato, poi, il rating di Agos Ducato, che passa da BB+ a BB-.

Standard & Poor’s mantiene l’outlook negativo su tutto il comparto bancario italiano. E’ quanto si legge in una nota dell’agenzia, in cui viene precisato che le due eccezioni sono Banca Carige e Dexia Crediop, i cui rating restano in ‘Creditwatch’ negativo, ovvero sotto osservazione per un possibile taglio.

Paesi Emergenti …. nella lista della spesa

La sindrome dei riscatti in fase di ribasso dei mercati ha colpito i fondi azionari paesi emergenti. Dall’inizio dell’anno, quelli disponibili in Italia hanno perso in media il 7,71% e i riscatti sono stati di oltre 2,55 miliardi nel solo mese di giugno. Il fenomeno non è solo italiano, tanto che il Wall Street Journal ha recentemente parlato di “esodo” da questi fondi.

Brutti scherzi
Come spiega Russel Kinnel, direttore della ricerca sui fondi di Morningstar, la categoria degli azionari emergenti è vittima del modello per cui risultati deludenti portano a forti deflussi. Decidere in base alle emozioni, tuttavia, può essere pericoloso. Vendere nelle fasi Orso e comprare in quelle Toro, infatti, è una delle ragioni per cui il rendimento dell’investitore (investor return) è inferiore a quello totale del fondo (total return). La regola vale soprattutto sui mercati più volatili, come quelli in via di sviluppo che, dopo il rally del 2009, preceduto da un 2008 da dimenticare, hanno avuto un andamento altalenante, in corrispondenza con i forti flussi di investimento.

Tempo di vendere?
In una nota, John Rekenthaler, vice president della ricerca Morningstar, va controcorrente e mette gli azionari emergenti nella lista dei possibili acquisti. Lo fa non solo in considerazione del detto “Cheaper is better than expensive”, ossia “economico è meglio che costoso”, ma anche sulla base di alcune stime di GMO, la società di gestione americana famosa per aver predetto diverse bolle speculative, secondo la quale i titoli dei paesi in via di sviluppo sono quelli con le migliori prospettive di ritorni attesi in un orizzonte di sette anni (6,2% annuo).

Le mosse cinesi
Un invito a valutare con distacco i recenti avvenimenti sui mercati emergenti viene anche da Didier Saint-Georges, membro del Comitato investimenti di Carmignac Gestion. Dopo la Fed, è stata la Banca popolare cinese a gettare ombra su queste aree, ma l’iniziativa dell’istituto centrale è giudicata “buona”, perché mira a “consolidare il modello di crescita del paese nel lungo termine a spese del credito facile a breve termine, che è all’origine delle bolle speculative e della cattiva allocazione del capitale”. Per Saint-Georges, le probabilità di successo non devono essere trascurate, in quanto le autorità cinesi controllano i propri mercati dei capitali e si impegneranno a mantenere un livello di crescita tale da garantire il riequilibrio dell’economia e la pace sociale. Chi sceglie l’universo emergente, tuttavia, deve essere consapevole che è bene privilegiare le aziende di qualità, che generano elevati flussi di cassa, è meglio stare alla larga dalle valute di paesi con deficit e dal debito di lunga durata e pessima qualità.

Va controcorrente anche Matthew Vaight, gestore del fondo M&G global emerging markets, che definisce “irresistibili” i prezzi dei mercati emergenti. “Per quanto riguarda il price-to-book, questi listini stanno attualmente scambiando ai livelli più bassi mai visti da anni”, dice”, “e sono più economici rispetto all’azionario dei mercati occidentali per circa il 25%”.  In particolare, il fund manager guarda ai Bric (acronimo di Brasile, Russia, India e Cina): “Dieci anni fa erano la moda del momento, mentre oggi sembrano essere caduti in disgrazia”, afferma. “La sfida in posti come Cina e Russia, e in misura minore Brasile India, sta nel trovare società che siano ben gestite e che si impegnino a creare valore per i loro azionisti”.