La prova dei costi di gestione disinnesca il redditometro
Il maggior reddito accertato con il redditometro deve essere tarato di volta in volta sulla base delle giustificazioni addotte dal contribuente in sede di risposta al questionario o in sede di adesione. Pertanto, se il diretto interessato dimostra che i costi effettivamente sostenuti per il mantenimento di un bene indicatore di capacità contributiva, come l’automobile, sono complessivamente inferiori alle risultanze redditometriche, il giudice tributario deve disapplicare lo strumento presuntivo e utilizzare la spesa effettiva ricostruita dal contribuente. Inoltre il vecchio accertamento redditometrico rappresenta un abuso del diritto poiché impone l’applicazione astratta di indici e coefficienti che determinano un valore presunto di reddito non supportato da ragionevolezza e duttilità. A queste conclusioni è giunta la sentenza 39/04/2013 della Ctp Torino.
In questo modo il collegio si allinea al recente orientamento della Corte Suprema che ha equiparato il vecchio redditometro agli studi di settore (Cassazione, sentenza n. 23554/2012), ritenendo anche il primo uno strumento di accertamento standardizzato alla stregua dei secondi. Pertanto – osservano i giudici torinesi – l’accertamento redditometrico non può basarsi esclusivamente sull’operatività dei coefficienti e moltiplicatori ministeriali. Acquisisce, infatti, rilevanza soltanto in esito al contraddittorio obbligatorio, mediante il quale si realizza quel processo di adattamento degli standard alla situazione concreta del contribuente, così da integrare i requisiti di gravità, precisione e concordanza del meccanismo presuntivo adottato, e in assenza dei quali risulterebbe inutilizzabile ai fini accertativi.