Fondi: +12,4 mld la raccolta ottobre, verso un 2014 da record

Riprende vigore la raccolta dei fondi che a ottobre segna +12,43 miliardi dopo gli 8,57 mld di settembre e i 12,7 di agosto. Nei primi dieci mesi dell’anno la raccolta totale ha superato la soglia dei 100 miliardi toccando i 110,5 miliardi, contro i 62,6 miliardi dell’intero 2013, e avviandosi a chiudere un 2014 da record. E’ il quadro che emerge dalla mappa mensile del risparmio gestito di Assogestioni, nella quale si evidenzia inoltre che le masse complessive hanno raggiunto un nuovo massimo storico a 1.536,30 (1.522,12 miliardi a settembre). Al risultato di ottobre hanno contribuito le gestioni collettive con 7,48 miliardi (6,06 mld a settembre) con i fondi aperti che hanno raccolto 7,42 mld (6,07 mld). Le gestioni di portafoglio hanno ripreso vigore e hanno quasi raddoppiato la raccolta a 4,95 miliardi dai 2,52 mld del mese precedente, con la componente istituzionale in forte ascesa a 3,74 miliardi da 1,73 mld. Tra i f ondi aperti, ancora in recupero gli azionari che passano a 260 milioni dai 186 mln di settembre mentre gli obbligazionari riprendono quota a 3,55 miliardi (2,13 mld). Si ridimensionano un po’ i flessibili con una raccolta netta di 2,28 miliardi da 3,17 mld il mese precedente. I monetari, dopo il balzo di agosto che li aveva portati a +1,5 mld, e i deflussi per 220 milioni a settembre, con ottobre si posizionano a +483 milioni. Restano in ‘rosso’ gli hedge (a -52 mln da -62). All’interno dei fondi aperti, quelli di diritto estero tornano a essere piu’ forti rispetto agli italiani con 4,30 miliardi di raccolta (da 2,31) contro 3,12 mld (3,75). com-lod

Fonte : Radicor

Portafoglio Moderato

PORTAFOGLIO MODERATO
Descrizione del portafoglio

E’ un portafoglio che abbiamo ideato e strutturato con un orizzonte temporale tipicamente di medio-lungo temine (3-5 anni) che mira ad ottenere rendimenti significativi, sopportando alcuni rischi.
Obiettivi

  • Perdita massima contenuta entro il 8%
  • Rendimento prossimo al 5%

Strategie
La scadenza obbligazionaria è di medio termine e la quota azionaria ha un incidenza significativa

  • Quota azionaria non superiore al 30%
  • Nella quota obbligazionaria lieve orientamento verso il lungo termine
Caratteristiche di portafoglio
Percentuale azionaria 30,00 %
Volatilità 5,00 %
Rendimento 4,90 %
Sharpe 0,58

Diversificazione

Asset Class Percentuale
Azionario USA Difensivi 3,50%
Azionario USA Aggressivi 6,00%
Azionario Europa 3,50%
Azionario Giappone 7,00%
Azionario Paesi Emergenti 10,00%
Obbligazionario Europa Breve Termine 23,00%
Obbligazionario Europa Lungo Termine 24,00%
Obbligazionario Europa Corporate 23,00%

 

ETF azionari “smart beta”

imagesGli ETF smart beta rappresentano un interessante ampliamento dell’universo investibile per gli investitori e permettono di esporsi a nuovi fattori di mercato.
Una delle tendenze degli ultimi anni sono gli ETF che replicano indici costruiti con criteri di ponderazione diversi da quella tradizionale, quella per capitalizzazione di mercato (market capitalization weighting). Questi ETF, denominati alternative beta o smart beta, a seconda degli emittenti, rappresentano un’evoluzione rispetto ai tradizionali ETF passivi e stanno crescendo velocemente in termini di numero di prodotti disponibili e di masse gestite. A livello d’industria degli ETF è interessante notare a questo proposito un trend di delisting di ETF settoriali e di quotazione di ETF smart beta: uno dei motivi potrebbe essere dovuto al fatto che l’utilizzo di prodotti smart beta si presta meglio alla costruzione di portafogli bilanciati di quanto non avvenga con i prodotti settoriali.
Ovviamente, come per ogni investimento finanziario, questi nuovi ETF vanno scelti con cura. Su Borsa Italiana sono quotati al momento 33 ETF smart beta azionari per un totale di circa 8,3 miliardi di dollari di patrimonio in gestione, includendo anche gli strumenti ad alto dividendo che sono una delle forme più conosciute di questo tipo di approcci. Di questi 33 ETF, 23 gestiscono masse superiori ai 50 milioni di dollari. In MoneyFarm consideriamo la soglia dei 50 milioni come uno dei criteri di scelta degli ETF, per evitare bassa liquidità o rischio di delisting nel corso del tempo dello strumento. Dato che gli ETF replicano un indice di riferimento, può essere utile una prima analisi delle performance di metodologie di costruzione di indici alternativi. Tra gli indici azionari più replicati dagli ETF classici o innovativi ci sono gli indici MSCI. L’analisi dell’andamento dell’indice MSCI World mostra che i metodi di ponderazione alternativi hanno realizzato negli ultimi decenni rendimenti più elevati rispetto all’indice ponderato per la capitalizzazione di mercato. Ancora più interessante l’osservazione che alcuni metodi di ponderazione non solo hanno reso di più dell’indice ponderato per la capitalizzazione di mercato ma hanno anche registrato una volatilità meno elevata. Ovviamente, queste performance riscontrate nel periodo 1998-2014 potrebbero non ripetersi in futuro. La tipologia di ETF smart beta quotati su Borsa Italiana con patrimonio maggiore è di gran lunga quella dividend yield (circa 5,3 miliardi di dollari), seguita da quella volatility-based (2 miliardi di dollari), growth e value (rispettivamente 200 e 755 milioni di dollari). Le tipologie cyclical e defensive sono gestiscono al momento masse ridotte (5 e 17 milioni): gli unici prodotti che coprono questo stile sono stati introdotti solo di recente.

Gli ETF smart beta classificati come dividend yield permettono agli investitori di esporsi a titoli ad alto dividendo: gli indici sottostanti replicati dagli ETF sono costruiti in modo da privilegiare società che pagano dividendi elevati. A seconda dell’indice di replica, questo obiettivo viene raggiunto in modi diversi: oltre a concentrarsi sul rendimento da dividendo, molti di questi indici filtrano i titoli azionari sottostanti in base a requisiti di crescita positiva del dividendo negli anni passati e alcuni indici aggiungono anche un criterio di sostenibilità del dividendo (ad esempio imponendo un rapporto massimo tra gli utili distribuiti e l’utile netto) volto a garantire che il dividendo attuale sia sostenibile in futuro.

Gli ETF smart beta volatility-based utilizzano criteri di ponderazione delle azioni da comprare volti a ridurre la volatilità del portafoglio complessivo, mantenendo però un investimento puramente azionario. A questo riguardo si osservano tre metodologie principali disponibili su Borsa Italiana. La più semplice consiste nell’attribuire ad ogni azione presente nell’indice ugual peso (cosiddetti indici equally weighted). Un altro approccio consiste nel selezionare le azioni che hanno storicamente registrato la volatilità minore durante un determinato arco temporale (ad esempio 252 giorni) e pesarle in modo inversamente proporzionale alle loro volatilità, cosicchè i titoli più volatili pesano meno nel portafoglio finale. L’ultimo approccio consiste nel scegliere i pesi che minimizzano la volatilità dei titoli presenti nell’indice tenendo conto non solo delle volatilità dei singoli titoli ma anche della correlazione tra di loro (approccio minimum variance). Quest’ultimo approccio è anche il più raffinato da un punto di vista quantitativo.

Gli ETF smart beta “growth” si propongono di sovraponderare azioni con alto potenziale di crescita. A tal fine l’indice di riferimento viene filtrato in base a criteri di crescita storica, attuale o futura degli utili per azione. Gli ETF smart beta “value” cercano di aumentare l’esposizione a azioni sottovalutate sul mercato secondo un punto di vista “fondamentale”. Per raggiungere questo obiettivo, all’indice di riferimento vengono applicati dei filtri su varie metriche di bilancio quali: rapporto prezzo utili, dividend yield, rapporto tra prezzo e book value e tra prezzo e ricavi.

Su Borsa Italiana è quotato un solo ETF cyclical. Questo ETF replica un indice composto da titoli azionari di società operanti in settori positivamente correlati con il ciclo economico. È quotato anche un ETF defensive. Questo prodotto è speculare all’ETF cyclical: replica un indice composto da titoli azionari di società operanti in settori poco esposti al ciclo economico, con ponderazione uguale dei diversi settori all’interno dell’indice. Per quanto ci riguarda, troviamo particolarmente interessanti gli ETF volatility-based che replicano indici costruiti con la metodologia minimum variance. Questi ETF permettono di esporsi positivamente alle fasi di rialzo dei mercati azionari e di limitare le perdite durante le fasi di mercato negative. L’indice MSCI Minimum Volatility è l’indice ad aver registrato la volatilità più bassa durante il periodo 1998-2014. Questa metodologia permette di esporsi ai mercati azionari mantenendo bassa la volatilità di questa componente dei portafogli, cosicchè si possono usare questi strumenti anche su portafogli più prudenti.

Molte delle altre metodologie (ad esempio growth, value…) si basano su indici costruiti con criteri ad hoc per ciascun ETF: indici diversi utilizzano metodologie di costruzione diverse, ottenendo ponderazioni dei titoli diverse e, più in generale, occorre fare un significativo lavoro di “due diligence” e monitoraggio dell’indice sottostante. Con gli indici minimum variance invece, la metodologia è puramente matematica. Per chiudere questa breve fotografia degli ETF smart beta su mercati azionari quotati a Milano, la nostra opinione è che questi strumenti rappresentino un utile ampliamento dell’universo investibile e forniscano un interessante strumento per aumentare la propria esposizione a fattori di mercato alternativi. Sono un prodotto in forte crescita in termini di masse gestite e di gamma di prodotti. Anche se molti di questi prodotti hanno realizzato rendimenti più elevati delle loro controparti tradizionali, vanno nondimeno selezionati con cura e con la consapevolezza che questa performance va contestualizzata in diverse fasi di mercato, per cui la scelta di una strategia non può prescindere da un’analisi strategica di mercato.

Fonte : FondiOnLine

Il segreto bancario nell’Unione Europea non esisterà più

fine-del-segreto-bancario-220x110E’ con un bollino rosso che i correntisti bancari sarannosegnalati all’Agenzia delle Entrate. La segnalazione sarà effettuata dagli intermediari finanziari.
Questa è una delle novità che entrerà in vigore nel biennio 2016-2017 previste dal Common Reporting Standard (CRS), l’accordo OCSE al quale aderiranno entro il 2018 circa 90 Paesi e che metterà anche fine al segreto bancario.

L’apposizione del bollino rosso è espressione della responsabilità che viene attribuita agli intermediari finanziari di valutare la qualità del correntista così da fornire una prima indicazione all’Amministrazione Finanziaria su come orientare eventuali controlli fiscali.

Gli intermediari finanziari avranno anche l’obbligo di trasmettere alle autorità fiscali nazionali tutte le informazioni relative ai saldi di conto, contro-valori di vendita delle attività finanziarie, interessi, dividendi e tutti i dati dell’investitore per tutti i rapporti in essere prima e dopo il 31 dicembre 2015.

L’obiettivo è di contrastare l’evasione fiscale transfrontaliera e di migliorare l’efficienza della riscossione delle imposte.
Più in dettaglio il Consiglio dei ministri delle finanze dell’Unione Europea (Ecofin) ha stabilito un nuovo standard globale, elaborato dall’OCSE e approvato dal G20 lo scorso 21 settembre, per lo scambio automatico di informazioni in ambito comunitario.

La direttiva europea sulla cooperazione amministrativa in materia di fiscalità diretta (2011/16/UE) viene rivista ed estende il suo campo di applicazione allo scambio automatico di informazioni tra amministrazioni fiscali.
Le Amministrazioni Tributarie dei 28 Paesi dell’Unione potranno quindi scambiarsi automaticamente le informazioni sulle attività finanziarie detenute dai cittadini di uno Stato Membro presso le istituzioni finanziarie degli altri Paesi appartenenti all’UE. Lo scambio automatico di informazioni diventerà operativo a decorrere dal 2017,tranne che per l’Austria che ha chiesto un periodo di transizione supplementare per un massimo di un anno. Si stima che l’iniziativa possa fruttare ben 2,5 miliardi di euro di gettito annuo nel mercato continentale.

L’Unione Europea ha preso come riferimento, in questa operazione di trasparenza fiscale internazionale il modello statunitense: “FACTA“ – Foreign Account Tax Compliance Act.
Attenzione pero’! La normativa USA è stata costruita per consentire di avere informazioni sui conti ed i movimenti finanziari dei residenti all’estero. E’ stata promossa come conseguenza degli innumerevoli scandali per i conti correnti segreti in Svizzera di cittadini americani.

Nel nostro caso parliamo di Unione Europea. Mi sembra che la caduta delle barriere nazionali e la libera circolazione intracomunitaria si conferma rimanere un’utopia o è stata completamente dimenticata.

Fonte:   Fisco e Tasse

Fondi pensione, con la super tassa si perde fino all’11%

fondi-pensione-Imagoeconomica-258L’aumento dall’11% al 20% della tassazione sui rendimenti annui dei fondi pensione previsto nel Ddl stabilità per il 2015 ridurrà le prestazioni finali nette dei fondi stessi. Rendendo ancora più evidente il divario tra le condizioni previste in Italia e quelle dei Paesi europei che non prevedono tassazione dei rendimenti. Solo in Italia, Danimarca e Svezia, infatti, i rendimenti sono soggetti a prelievo fiscale. Negli altri Paesi Ocse, la tassazione avviene una volta sola, cioè quando si va in pensione.

All’inasprimento della tassazione, si aggiunge poi l’altra previsione del Ddl stabilità, ovvero la possibilità per i lavoratori di richiedere in busta paga l’accantonamento mensile del trattamento di fine rapporto (Tfr). Anche questa misura, sottraendo risorse agli accantonamenti, avrà un impatto negativo sulle prestazioni finali dei fondi.

L’aumento della tassazione
La nuova tassazione ipotizzata per i rendimenti al 20% determina una riduzione delle prestazioni che aumenta al crescere del periodo di iscrizione al fondo pensione e del risultato annuo ottenuto. Se ipotizziamo infatti che un lavoratore con una retribuzione annua lorda di 50mila euro destini a un fondo pensione dal 1° gennaio 2015 l’accantonamento annuo del Tfr e consideriamo tre diversi periodi di iscrizione (15, 25 e 35 anni) e tre possibili diversi tassi annui di rendimento reale (2%, 4% e 6% al netto dell’equivalente incremento del costo della vita), la riduzione della prestazione può arrivare fino all’11% della posizione netta maturata. In valore assoluto, la differenza può superare i 37mila euro nello scenario con le performance migliori dei fondi. Le stesse variazioni percentuali possono ritenersi valide per tutti i livelli retributivi. La richiesta in busta paga del Tfr per il periodo consentito, in base al Ddl stabilità (dal 1° marzo 2015 al 30 giugno 2018) può comportare un’ulteriore riduzione della prestazione finale. Una riduzione che può risultare sensibile, sino al 30% della posizione netta maturata per i periodi più contenuti di iscrizione ai fondi pensione.

Il confronto con la Ue
Per un lavoratore italiano, nell’ipotesi dell’aumento effettivo al 20% del prelievo sui rendimenti dei fondi pensione, sarebbe assolutamente più vantaggioso trasferire la prestazione accumulata presso un fondo pensione paneuropeo costituito (sulla base della Direttiva Ue 41/2003) in uno dei paesi dell’Unione che non preveda alcuna tassazione dei rendimenti ottenuti. L’assenza di tassazione infatti, a parità di ulteriori situazioni, determina prestazioni nette in alcuni casi decisamente più elevate, sino al 22% della posizione maturata (si veda il Sole 24 Ore del 22 ottobre).

Gli effetti sulla previdenza
Dopo più di venti anni di riforme, dunque, l’impressione è che la struttura del nostro sistema pensionistico non possa ancora essere considerata quella definitiva. In seguito alla riforma «Fornero» del 2011, infatti (e dopo tutte le riforme che l’hanno preceduta) la previdenza complementare non potrà che svolgere un ruolo fondamentale. In futuro, infatti, solo alcuni lavoratori che avranno la possibilità di andare in pensione intorno ai 70 anni, dopo una carriera completa, saranno in grado di ricevere dall’Inps una pensione calcolata con il metodo contributivo che sia adeguata. Per tutti gli altri, in particolare i lavoratori che per le ragioni più varie (ristrutturazioni aziendali, esigenze familiari, fisiche, e così via) saranno portati ad anticipare il pensionamento, l’esigenza di una copertura aggiuntiva risulterà determinante. L’attuale contesto economico, e il notevole squilibrio dell’Inps, lasciano presupporre che queste necessità difficilmente potranno essere garantite attraverso un ulteriore intervento del sistema pubblico. E anche se l’economia ripartisse, i vantaggi di affiancare a un sistema finanziato a ripartizione un altro gestito in base al metodo della capitalizzazione dovrebbero risultare ormai evidenti sul mercato. Le disposizioni che il Governo ha introdotto nel disegno di legge di stabilità per il 2015 vanno esattamente nella direzione opposta. Colpiscono le prestazioni garantite dai fondi pensione, aumentando la tassazione e riducendo quindi le prestazioni nette finali e sottraggono il Tfr, una determinante fonte di finanziamento, forse l’unica.

Fonte : Il Sole 24 Ore

Lo scatto della Fed brucia Bce e BoJ

Le politiche monetarie degli istituti centrali prendono vie diverse. Gli Usa preparano l’aumento dei tassi, Francoforte e Tokyo non cambiano rotta. La risposta dei mercati finanziari.  

 

Il gruppo non pedala più compatto: mentre Bce e Bank of Japan si muovono all’unisono, la Federal Reserve potrebbe tentare la fuga in solitaria. Il paragone fra ciclismo e scelte delle Banche centrali è usato spesso dagli economisti secondo cui, anche in termini di politiche monetarie, viaggiare da soli rende più faticoso pedalare. Stare con gli altri corridori, infatti, permette di ridurre la resistenza all’aria (cioè, in termini economici, l’apprezzamento di una sola valuta). Fino a poche settimane fa l’incapacità di raggiungere una buona velocità (la crescita economica), li ha costretti a stare insieme (tassi vicino allo zero).

La Fed prepara la fuga?

Ora, invece, secondo diversi osservatori la Fed si starebbe preparando alla fuga, alzando i tassi di interesse. La Banca centrale Usa, da parte sua, sta facendo di tutto per dissimulare la strategia. Dopo l’ultima riunione in cui il Fomc (Federal open market committee, il braccio operativo della Fed) ha deciso di non abbandonare la politica accomodante, il governatore Janet Yellen ha detto che i tassi resteranno vicino allo zero “per un periodo considerevole di tempo” dopo la fine del Quantitative easing. Una espressione che dice poco sul calendario di eventuali aumenti del costo del denaro e che nasconde insidie per gli investitori. Qualche pericolo è celato anche dietro un’altra formula usata da Yellen quando, illustrando le linee della sua politica monetaria, ha detto che un atteggiamento “fortemente accomodante”, è ancora appropriato.Non è chiaro, cosa questo significhi in un momento in cui i Federal fund rate sono compresi fra 0% e 0,25%, ma la questione per i mercati è rilevante, considerando che le scelte della Banca centrale Usa influiscono sulle decisioni dei trader più che sull’andamento dell’economia reale. “Le mosse future della Fed condizioneranno i prezzi degli asset che, al momento, sono prezzati al netto dei tassi di interesse”, spiega Robert Johnson, responsabile della ricerca economica di Morningstar. “I cambiamenti di politica della Fed sono spesso stati dei market mover. L’anno scorso le voci che la Banca fosse in procinto di alzare i tassi ha mandato a tappeto bond ed equity”.C’è poi un altro problema. Le carte della riunione della Fed mostrano che alcuni governatori che formano il Fomc non condividono le previsioni economiche e sul futuro dei tassi della maggioranza. Cosa succederebbe se il loro numero dovesse aumentare? “I mercati odiano le situazioni di incertezza e opinioni troppo divergenti rischiano di disorientare gli operatori”, dice Johnson.

La gara della Bce

Restando al paragone con il ciclismo, intanto, i tattici della Bce hanno consigliato al governatore Mario Draghi di non cambiare condotta di gara: l’Eurotower ha tagliato il costo del denaro allo 0,5% e ha portato il tasso sui depositi ancora in territorio negativo a -0,2%. Più rilevante è stato l’annuncio di un piano di acquisto di titoli Abs (asset backed securities) garantiti da prestiti. Ma la vera sorpresa è stato l’inserimento di titoli Mbs (Mortgage backed securities) garantiti da ipoteca, a patto che ci siano le garanzie (probabilmente da parte della Banca europea degli investimenti). Anche la riapertura di un piano di acquisti di covered bond è giunta inaspettata.L’obiettivo dichiarato dall’Eurotower è di incrementare la situazione patrimoniale della Bce riportandola ai livelli di fine 2012 (mille miliardi di euro). “L’annuncio della Bce sul suo programma di acquisti di Abs non solo apporterà fondi all’economia reale, ma renderà le Abs europee più appetibili per gli investitori”, spiega uno studio firmato da Matthias Wildhaber, gestore del fondo JB Multibond Abs (Swiss&Global). “Dall’inizio della crisi finanziaria, le Abs europee sono state accostate ingiustamente alle obbligazioni statunitensi, sebbene i tassi d’insolvenza in Europa tra la metà del 2007 e la metà del 2014 fossero in realtà più di dieci volte inferiori, secondo Standard & Poor’s. Noi preferiamo le tranche vintage (quelle emesse prima della crisi), perché questo spazio offre obbligazioni di buona qualità con un rischio di credito limitato e spesso vengono scambiate sotto la pari. Tuttavia è importante essere selettivi, evitando quei titoli con elementi svantaggiosi, come la possibilità degli emittenti di estendere il periodo di rimborso”.Cautela resta comunque la parola d’ordine per chi investe in Eurolandia. “Ci troviamo in un momento critico in cui o i governi aiutano la BCE a rafforzare gli effetti dei recenti annunci monetari (allentamento quantitativo e garanzie sugli acquisti di asset), o l’unica azione possibile che potrà intraprendere la Bce sarà l’acquisto di bond sovrani (eventualmente anche l’acquisto di titoli di Stato stranieri)”, spiega un report firmato da Pierre Olivier Beffy, Chief Economist di Exane Bnp Paribas. “Nel breve termine, dato il sentiment negativo sull’Eurozona fra gli investitori, non sono nemmeno necessari grossi miglioramenti da un punto di vista macro per sorprenderli al rialzo. Tuttavia, dati ciclici migliori per l’Eurozona sono improbabili prima di novembre”.

La BoJ non cambia passo

Non vuol cambiare pedalata nemmeno la Banca del Giappone, dopo che l’economia del Sol levante, a causa di una tassa sui consumi, si è contratta a livelli che non vedeva dall’inizio del 2011.Il governo nipponico ha tagliato le sue previsioni sulla crescita congiunturale reale per l’anno fiscale 2014, portandole da +1,4% a +1,2%, a seguito dei timori che il rialzo dell’Iva dal 5 all’8%, il primo in 17 anni e operativo da aprile, possa continuare a pesare sulla domanda interna. L’Ufficio di gabinetto, tuttavia, ha detto che il Prodotto interno lordo nominale è destinato a crescere del 3,3% nell’esercizio in corso, invariato sulla stima fatta a dicembre, con la Bank of Japan (BoJ) impegnata nel sostenere un maxi allentamento monetario per rilanciare la ripresa. Se si concretizzassero le proiezioni, il Pil reale avrebbe la crescita più ampia degli ultimi 17 anni, suggerendo che la terza economia del pianeta è sempre più vicina alla uscita dalla deflazione che dura da quasi vent’anni. “A dispetto della debolezza del quadro economico, le aziende giapponesi hanno continuato a veder migliorare i propri profitti, tanto che la loro quota sul Pil è in stabile crescita. Le società stanno beneficiando dei frutti di quel duro processo di ristrutturazione e taglio dei costi reso necessario negli anni passati per sopravvivere alla stagnazione unita alla deflazione”, spiega un report firmato da Donatella Principe, Responsabile Institutional Business di Schroders Italia. “In particolare le società che possono agire sui prezzi sperimentano una crescita dei ricavi superiore a quella dei costi, con relativo miglioramento dei margini. Non è un enigma nemmeno il fatto che i profitti continuino a crescere pur in concomitanza con la debolezza delle esportazioni: la riallocazione offshore delle produzioni ha reso i bilanci delle aziende nipponiche sempre più indipendenti dalla domanda estera e dal tasso di cambio. Per altro la liquidità fornita dalla BoJ sta consentendo alle società del Topix di attuare riacquisti di azioni proprie a un ritmo mai visto prima (un controvalore di 25 miliardi di dollari solo nel primo semestre dell’anno) con un effetto di sostegno agli utili per azione”.

Fonte: MorningStar

Banche sotto “stress test”. Conto alla rovescia per il verdetto

E’ già cominciato il conto alla rovescia per l’esito degli stress test sulle maggiori banche europee. Test che hanno il compito di verificare la resistenza degli Istituti di credito dell’Eurozona ad ipotetici scenari macroeconomici avversi usando una metodologia comune elaborata dall’European Banking Authority (EBA)

In sostanza, i test hanno lo scopo di scoprire eventuali scheletri nell’armadio, ma soprattutto hanno l’obiettivo di rendere l’unione bancaria più credibile in Europa. Ovvero, convincere il mondo esterno che il sistema dell’eurozona è sicuro. 

Si tratta di un passo propedeutico all’assunzione dellavigilanza bancaria da parte dell’Eurotower, a partire dal prossimo 4 novembre. La BCE, infatti, vuole accertare lo stato di salute dei 130 istituti di crediti posti sotto la sua supervisione.

I risultati della review saranno pubblicati domenica 26 ottobre dalla stessa EBA

Nei giorni scorsi, la BCE è dovuta intervenire per precisare che i rumors di stampa sull’esito degli stress test non hanno alcun fondamento, dopo che un’agenzia spagnola aveva presupposto la bocciatura di 11 banche europee e 3 italiane.

Fonte : Teleborsa

Il rendimento del Bund al minimo storico. Quello del T Bond al 2,24%: ecco perché

Da una parte il rendimento del titolo di Stato tedesco è sceso al suo nuovo minimo storico (0,838%). Dall’altro, lo yield del T Bond Usa è calato al 2,24%. Due dinamiche coincidenti, seppure con valori ed entità differenti, che mostrano un flusso di acquisti sui due governativi. Per le medesime ragioni? In parte sì, e in parte no.

Rispetto al benchmark di Berlino oggi ha giocato un ruolo fondamentale il dato negativo dello Zew tedesco. L’ennesimo numero che segnala il rallentamento dell’economia Tedesca, giocoforza, schiaccia il rendimento del Bund decennale. Lo yield, tra i vari fattori, ingloba anche le aspettive d’inflazione sull’economia. In tal senso, prevedendo la frenata della Germania, si sconta un’indice dei prezzi al consumo più basso. Di qui, il rendimento che scende. A questo fattore negativo, tuttavia, si affianca un altro elemento. Per così dire, positivo. È il classico «fly to quality». Cioè, nel momento in cui si addensano sempre di più le nuvole sull’economia del Vecchio continente gli investitori parcheggiano denaro sul Bund. Il quale, non offre rendimento ma è, per l’appunto, un porto sicuro.

Fin qui il titolo di Stato di Berlino: ma rispetto, invece, al Treasury? Su questo fronte il tema è un po’ diverso. Una delle delle motivazioni per questo movimento, infatti, è costituita dalla considerazione che la stretta di politica monetaria da parte della Federal reserve si allontana. Il mercato, cioè, scommette che Yanet Yellen alzerà i tassi non così presto. «I derivati – sottolineno gli esperti di Mps Capital Services -mostrano come le aspettative di un primo ritocco all’insù del costo del denaro da parte della Fed si siano spostati in avanti, dopo settembre 2015». La probabilità di un aumento ad ottobre è pari al 56%, mentre la finestra di settembre è considerata plausibile poco sotto al 50%. In un simile contesto gli investitori, che prima vendevano i titoli di Stato Usa in attesa del più alto rendimento in asta, adesso hanno cambiato (o rallentato) la strategia. Così, il saggio dei T Bond cala.

È chiaro che il tema del rialzo dei tassi non è presente nello scenario europeo. Detto ciò, ci sono invece alcune variabili che si richiamano l’una con l’altra. Non può dimenticarsi che, nel week end, c’è stato l’intervento del vicegovernatore della Fed Fischer. Quest’ultimo ha accennato alla possibilità di una politica monetaria accomodante per un maggior periodo di tempo alla luce della debole crescita estera. Negli Stati Uniti, cioè, inizia a farsi largo il timore di un possibile contagio del rallentamento dell’economia europea nei confronti degli Usa. Questa possibilità, in teoria, potrebbe schiacciare l’inflazione a stelle e strisce. Così, il mercato sconta un rendimento inferiore sui titoli di Stato anche per questa possibilità.

Infine, tra le altre cose, c’è anche negli Usa il ritorno dell’avversione al rischio. Vale a dire i flussi di denaro elettronico, a fronte delle sempre maggiori difficoltà in Europa, si indirizzano sui titoli Statunitensi che, comunque, danno ancora un buon rendimento. «Il fly to quality», peraltro, si vede anche nel rendimento del Bund che ha toccato il suo nuovo minimo storico a 0,838%.

Fonte : Il Sole 24 Ore

L’economia globale non va. Il Fondo Monetario taglia anche il PIL dell’Italia

download“Crescita globale deludente, ritmo della ripresa irregolare e a macchia di leopardo”. E’ questo l’eloquente titolo assegnato dagli esperti del Fondo Monetario Internazionale all’ultimo World Economic Outlook, la consueta panoramica sulle prospettive dell’economia mondiale.

Panoramica che, rispetto a questa estate, evidenzia diffusi peggioramenti. Innanzitutto l’Organizzazione con sede a Washington ha tagliato le stime sulla crescita globale del 2014 e del 2015 rispettivamente a +3,3% e +3,8%. Nel World Economic Outlook di luglio si attendeva invece un +3,4% per l’anno in corso e un +3,9% per il prossimo.

Questo maggior pessimismo, spiega, riflette la battuta d’arresto di alcune economie avanzate avvenuta durante la prima metà del 2014 e una visione meno ottimistica per quanto riguarda alcuni mercati emergenti.

Molti i fattori negativi, afferma il numero uno del Dipartimento Ricerca del Fondo, Olivier Blanchard: dal crollo della fiducia all’elevata disoccupazione, passando per l’indebitamento di molti Stati.

Ovviamente non tutti i Paesi se la passano male: gli Stati Uniti, per esempio, stanno crescendo velocemente grazie alle azioni intraprese in passato per combattere la disoccupazione, la crisi immobiliare e il calo dei consumi.

Purtroppo, però, gli States sono quasi una mosca bianca. Tra le altre economie avanzate, infatti, il PIL delGiappone si è contratto più delle attese a causa dell’aumento dell’IVA.
Nonostante ciò il FMI è fiducioso sulla ripresa degli investimenti privati e sul fatto che l’economia si stabilizzerà nel 2015.

Per quanto riguarda l’Eurozona, il Fondo Monetario parla di “crescita insoddisfacente e persistente fragilità”. L’economia dell’Area migliorerà gradualmente ma a singhiozzi supportata soprattutto dal ridimensionamento degli spread dei Paesi più fragili e dai tassi ai minimi storici.

Italia altra nota dolente: il PIL della Penisola segnerà -0,2% quest’anno e un +0,8% nel 2015. Si tratta di unoutlook in peggioramento rispetto a luglio, quando l’FMI aveva stimato rispettivamente un +0,3% e un +1,1%. La disoccupazione toccherà un picco del 12,6% per poi segnare una limatura al 12% nel 2015.

Fonte . Teleborsa

La royalty nell’importazione di beni nell’Unione Europea

E’ fondamentale che l’importatore italiano, prima di intraprendere un’importazione di merce soggetta a royalty, effettui un’accurata analisi per comprendere se l’importo della royalty debba essere addizionato al prezzo nella dichiarazione del valore in dogana delle merci importate.

Le norme che disciplinano la questione sono l’art.32 del Codice Doganale Comunitario (CDC – Reg.to n. 2913/92) e gli articoli 157 e seguenti delle relativeDisposizioni di Applicazione del Codice (DAC – Reg.to n. 2454/93).
Al momento dell’importazione in dogana, l’azienda deve sapere se il valore della merce che andrà a dichiarare all’Agenzia delle Dogane sarà così costituito:

  • dal prezzo della medesima, oltre a eventuali ulteriori elementi (trasporto, assicurazione, etc.)
  • dal valore della royalty che l’importatore europeo paga al licenziante.

L’elemento cardine per la valutazione è l’interpretazione del seguente concetto, determinante, in base ai dettami del legislatore europeo, l’aggiunta della royalty al valore in dogana: il pagamento della royalty da parte dell’importatore è condizione della vendita dall’esportatore all’importatore. Accanto a tale requisito, vi è un’ulteriore condizione, ma di ben più semplice verifica: la royalty deve riferirsi alle merci importate.

Royalty come condizione di vendita

Il concetto di condizione della vendita si realizza chiaramente quando il pagamento della royalty è dovuto a favore dello stesso esportatore-venditoredella merce: se egli non eseguirà la vendita a favore dell’importatore, in caso di mancato pagamento da parte di quest’ultimo della royalty, il requisito normativo è soddisfatto e l’importo della royalty deve dunque essere aggiunto al prezzo della merce nell’indicazione del valore in dogana all’importazione.

La questione diventa più complessa nei casi ben più frequenti in cui la royalty è pagata ad un soggetto terzo e dunque non al venditore-esportatore. Anche in questi casi la royalty potrebbe costituire parte del valore in dogana.
La normativa, art. 160 DAC, prevede, infatti, che il requisito della royalty come condizione della vendita si possa ritenere soddisfatto anche in tal caso quando il licenziante terzo soggetto sia “legato” al venditore-esportatore.
Pertanto, diventa fondamentale analizzare il rapporto licenziante-venditore, per appurare se si riscontrano le tipologie di rapporto a cui la normativa doganale riporta il concetto di “legame”.

Controllo di fatto come elemento di legame del licenziante sul venditore-esportatore

L’art.143 DAC indica nel dettaglio la casistica in cui si debba ravvisare la presenza di un legame tra due soggetti.
La fattispecie più frequente e oggetto di interpretazioni complesse che palesa un legame tra due soggetti è l’esistenza di un controllo di fatto.
E’ questo aspetto a costituire l’elemento critico di ogni importazione con merce sottoposta a royalty.

Per accertare la presenza di un simile controllo del licenziante sul venditore-esportatore è analizzato principalmente quanto il licenziante intervenga nell’autonomia imprenditoriale del venditore-esportatore in merito alla produzione di quelle merci che sono poi vendute all’importatore licenziatario.
Tanto più è incisiva la presenza di dettami da parte del licenziante tanto più emergerà uno status di controllo da parte di quest’ultimo.
Se il licenziante impone che i prodotti con il proprio marchio possano essere solo prodotti di una determinata tipologia, se ne impone i prezzi di vendita e i canali di distribuzione facilmente si potrà, ad esempio, ritenere sussistente un controllo di fatto del licenziante sul venditore-esportatore.
Questi elementi emergono dal contratto di licenza concluso tra il licenziante e il licenziatario-importatore e dall’effettiva condotta del licenziante.

È per tale ragione che, all’importazione di beni sottoposti a royalty, diventaessenziale per l’autorità doganale e dunque in primis per l’importatore stesso esaminare il contratto di licenza, per analizzare i poteri del licenziante.
Ad aiutare in questa interpretazione interviene la Commissione europea con un suo documento di prassi dedicato alla valutazione del valore in dogana. Il documento è molto interessante in quanto offre una lista di casi concreti definiti come indicatori di un controllo di fatto, insieme a pratici esempi.

È altresì fornito un interessante chiarimento dall’autorità comunitaria, ripreso anche dall’Agenzia delle Dogane nazionale nella propria circolare di riferimento (circolare n. 21D/2012): quegli interventi del licenziante sulla produzione dei beni volti a garantire la qualità dei beni medesimi sono ritenuti interventi neutralidal punto di vista in questione. Ovviamente occorre poi trovare la difficile linea di demarcazione tra un mero controllo di qualità e un controllo effettivo di produzione da parte del licenziante.
È a tal punto che deve intervenire un’analisi accurata, clausola per clausola, del contratto di licenza e delle effettive modalità di produzione e distribuzione.

Applicazione dell’IVA sull’importo della royalty

Un ulteriore aspetto controverso che ricorre nell’importazione di beni sottoposti a royalty è l’applicazione, oltre che del dazio, anche dell’IVA sull’importo della royalty, eventualmente aggiunto al valore in dogana in sede di importazione, quando l’importatore abbia già assolto l’IVA sulla royalty al momento del pagamento della medesima al licenziante.
Tale aspetto è controverso in quanto è contraddittoria l’applicazione che compie nei fatti ancora l’autorità doganale nazionale: alcuni uffici richiedono all’importatore il pagamento dell’IVA, mentre altri richiedono solo il pagamento del dazio.
È altresì controverso in quanto la prassi di quegli uffici doganali che richiedono il pagamento dell’IVA appare contraria alle normative fiscali europee, anche come interpretate dalla nostra Cassazione Civile e dalla Corte di Giustizia europea, che ribadiscono la neutralità dell’imposta.
Il giudice europeo, infatti, si è recentemente pronunciato in luglio nella causa C-272/13, dichiarando la normativa italiana in violazione del diritto comunitario qualora essa preveda il pagamento dell’IVA all’importazione, quando l’IVA sia stata già assolta per la medesima merce tramite il meccanismo dell’inversione contabile. Si trattava di un caso di importazione e utilizzo di deposito fiscale, ma che si ritiene pienamente estensibile in via analogica al caso di importazione di beni sottoposti a royalty, quando questa sia stata pagata a un licenziante comunitario con IVA assolta in reverse charge.

L’argomento, di rilevante importanza, si presenta tuttora di particolare complessità a causa di una ancora carente casistica giurisprudenziale nazionale che possa essere di aiuto nell’interpretazione della norma e del fatto che rimarrà sempre ancorato alla fondamentale analisi caso per caso dei rapporti contrattuali tra le parti.