Il quantitative easing della BCE vale 500 miliardi

finanziamenti_soldi_168Sembra proprio che questa volta la BCE si stia preparando a mettere sul piatto denaro sonante per aiutare la travagliata economia europea, mentre i rumors di stampa parlano di un intervento della portata di 500 miliardi di euro, cifra sufficiente assieme alle operazioni LTRO a portare il bilancio dell’Eurotower oltre i 3 mila miliardi di euro (massimo dal 2012).

L’obiettivo, più volte dichiarato da Mario Draghi, sarebbe raggiunto mediante acquisti di titoli sovrani, dunque vere e proprie misure di quantitative easing. Secondo l’agenzia di stampa Bloomberg, persone che hanno assistito all’ultimo consiglio direttivo della BCE, tenutosi ieri, confermano che i tecnici della BCE avrebbero ipotizzato acquisti per un valore di 500 miliardi.

Resta però da capire quali titoli saranno eleggibili. E’ logico che per superare le resistenze dei contrari al quantitative easing, in primis il governatore della Bundesbank Jens Weidmann, gli acquisti dovrebbero riguardare titoli sovrani più sicuri ed affidabili, quelli aventi un rating “investment grade”. Resterebbero esclusi quindi tutti quelli con rating inferiore a BBB-, non certo l’Italia, ma sicuramente i titoli di stato greci.

Basterà questo per rimuovere la contrarietà di Berlino? Proprio ieri, Mario Draghi ha ribadito che l’obbiettivo è quello di prendere decisioni all’unanimità, ma sono in molti a credere che questa volta il Presidente possa decidere di forzare il blocco e prendere la decisione “a maggioranza”.

Fonte : Teleborsa

Ora i mercati vedono il «QE» più vicino: Borse in rialzo, giù lo spread

borse-eu-borsa-ws-258La statistica sui prezzi è determinante per le scelte di politica monetaria della Banca centrale europea. È proprio per scongiurare il rischio di una discesa dei prezzi, che il presidente della Bce Mario Draghi ha preparato il campo in questi mesi ad un piano di acquisti di titoli di Stato (Quantitative easing). Questa prospettiva si fa più concreta oggi dopo che Eurostat ha ufficialmente certificato che l’area euro è piombata in deflazione. Ed è alla luce di questo dato che si interpreta la giornata di oggi sui mercati finanziari. Soprattutto per quanto riguarda Borse e titoli di Stato.

Dopo una mattinata all’insegna dell’avversione al rischio, con gli investitori che hanno preferito i solidi titoli tedeschi e francesi ai più redditizi bond italiani e spagnoli, c’è stato un cambio di rotta alla pubblicazione della statistica sui prezzi. I tassi dei bond periferici, in rialzo per buona parte della mattinata, sono tornati a scendere. Lo spread tra Bund e BTp (qui il grafico di giornata) che nei primi scambi era tornato oltre quota 142 è sceso di oltre 5 punti.

Bene anche la reazione della Borsa. Dopo una mattinata incerta (qui l’andamento degli indici) i listini hanno preso la via del rialzo alla pubblicazione del dato.

L’euro ha una reazione contenuta alla pubblicazione del dato, peggiore delle attese, sui prezzi al consumo. In un primo momento c’è stato un rialzo oltre 1,890. Successivamente una flessione a 1,850. Volatilità contenuta quindi nonostante il dato sia peggiore delle attese (gli analisti avevano messo in conto un -0,1%). Questo in parte si spiega con il fatto che il mercato aveva già scontato un dato negativo. In mattinata la moneta unica aveva toccato quota 1,1843 dollari aggiornando i minimi dal 2006 (qui il grafico di giornata del cambio euro-dollaro).

Il calo dei prezzi nell’area euro è fortemente correlato alla svalutazione del petrolio e agli effetti che questa correzione ha avuto sui prezzi dei carburanti, una delle voci di maggior peso alla voce consumi. La discesa dei prezzi del greggio peraltro non sembra volersi arrestare. Il prezzo del greggio Brent ha sfondato al ribasso la soglia dei 50 dollari al barile. Un livello che non si vedeva dall’8 aprile del 2009 (qui l’andamento dei prezzi del petrolio).

Fonte : Il Sole 24 Ore

 

News fondi 5 stelle esteri, chi sale e chi scende nel 2014

Asia-Pacifico, biotecnologie e farmaceutici sono le aree e i settori dove investono i migliori fondi esteri disponibili alla vendita in Italia (non istituzionali), selezionati in base al Morningstar Risk-adjusted return (MRAR) a undici mesi (misura del rendimento aggiustato per il rischio e i costi), tra quelli che hanno un rating complessivo di cinque stelle.

Rally indiano
Al primo posto, troviamo Aberdeen Global Indian Equity, che rientra nella categoria Morningstar specializzata sulla Borsa di Mumbai, la migliore nel 2014. Cinque stelle di rating overall, il comparto combina un rischio basso rispetto ai concorrenti, con rendimenti medi superiori e un profilo commissionale nella media. La Borsa indiana ha ritrovato slancio nel corso dell’anno dopo le elezioni che hanno segnato la vittoria di Narendra Modi a Primo ministro, che ha ridato fiducia agli investitori con il suo programma di riforme. Il paese beneficia anche della riduzione del prezzo del petrolio, dato che è uno dei grandi importatori.

Il biotech avanza
Al secondo posto, si colloca un settoriale, Candriam Equities L Biotechnology, specializzato in azioni di società biotecnologiche. Oltre ad avere un rating di cinque stelle (per la classe N), il fondo ha un giudizio pari a una medaglia di Bronzo da parte degli analisti di Morningstar, che apprezzano particolarmente il processo di investimento e il solido track record dei rendimenti. L’industria biotech ha corso molto durante il 2014, grazie soprattutto allo sviluppo di nuovi farmaci, in particolare in campo virologico e oncologico, con conseguente aumento della produttività.

Anno d’oro per i farmaceutici
Seguono nella classifica per MRAR una serie di fondi della categoria Azionari settore della salute, tra i quali i migliori sono Janus Global Life Sciences, che dal 2012 è nel primo quartile per performance annue a fronte di un rischio e di costi superiori alla media, e Axa WF Framlington Health, che i nostri analisti hanno messo “sotto revisione” dopo la partenza del gestore ad ottobre 2014.

Mercati di frontiera
Infine, al quinto posto si posiziona Schroder ISF Middle East, un fondo che investe in società del Medio oriente e a tratto particolare vantaggio dal sovrappeso di alcuni settori come i servizi finanziari, l’immobiliare e l’industria (dati di portafoglio al 30 agosto 2014).

Fardello russo
In fondo alla classifica, si collocano i fondi, che pur essendo cinque stelle, sono stati penalizzati dall’andamento dei mercati di alcune regioni. In particolare, Parvest Equity Russia Opportunities ha pagato il deterioramento della situazione macroeconomica e le tensioni geopolitiche nell’area.  Nonostante la performance da inizio anno sia negativa, il comparto è tra quelli che più sono riusciti a contenere le perdite, collocandosi nel primo quartile della categoria.

L’esposizione alla Russia ha pesato anche su Schroder ISF Emerging Europe, che più recentemente ha anche risentito della crisi politica in Grecia. Il fondo mantiene comunque uno storico di solide performance a fronte di un rischio nella media.

Delusione brasiliana
Il 2014 non è stato positivo neppure per il Brasile, che ha deluso gli investitori con la riconferma alla presidenza di Dilma Rousseff a ottobre. L’esito del voto ha vanificato le speranze di attuazione di riforme strutturali per risolvere i problemi economici del paese. Tra i fondi a cinque stelle che più hanno pagato questa situazione figura Bradesco Global Brazilian Equities Middle&Small caps, che nel 2014 è scivolato nel terzo quartile. Gli investimenti nel paese latino-americano hanno penalizzato anche Comgest Growth Latin America, che, dopo essere stato per tre anni nel primo quartile della categoria, è sceso nel terzo (dati al 30 novembre 2014).

Il petrolio fa la sua parte
A livello settoriale, è stato un anno da dimenticare per gli azionari energia. SSgA Energy Index Equity Fund, fondo con il massimo del rating complessivo, è stato penalizzato per la sua politica di investimento passiva, che ha come obiettivo la replica fedele dell’indice Msci Energy.

Fonte : MorningStar

Crisi del mattone, ripresa lenta nel 2015. Prezzi ancora giù

11357281_XS.t.W300.H188.M4Prezzi ai minimi storici, mutui e transazioni in ripresa sono segnali positivi che lasciano intravedere una ripresa delle compravendite per il 2015, un’inversione di tendenza già in atto nell’ultima parte dell’anno ancora in corso.

Tuttavia, i prezzi sono scesi ancora di un 2,9% a livello nazionale, ma non hanno ancora toccato il fondo. A lanciare l’allarme è l’ufficio studi del portale idealista.it secondo cui “assisteremo a un’ulteriore flessione dei valori degli immobili l’anno prossimo”, meno evidente nelle grandi città, dove la domanda di casa è già ripartita.

Secondo Vincenzo De Tommaso, responsabile dell’ufficio studi, il 2014 è stato “l’anno della transizione” verso una nuova fase ciclica, “il 2015 sarà l’anno dell’uscita dalla crisi”. Ma quello che ci troveremo davanti sarà un “mercato completamente rinnovato”, dove c’è un compratore più consapevole, più attento al valore dei suoi soldi e che vuole comprare un prodotto di qualità. La crisi, spiega De Tommaso, “ha creato un mercato, quello dell’affitto, che prima era solo marginale e invece oggi divide il protagonismo con la vendita”.

Fonte : Teleborsa

Borse, da 10 anni a Piazza Affari va in scena il rally di fine anno. Accadrà anche questa volta?

I mercati (nel breve periodo) sono così: una settimana va tutto male e pare che debba andare ancora peggio (la scorsa settimana Piazza Affari ha perso il 7,4%). La settimana successiva gli stessi fattori/paure che fino a qualche ora prima sembravano pre-apocalittici (petrolio, rublo, ecc.) si sgonfiano. E tornano gli acquisti.

Come mai? Semplice: la speculazione moltiplica i guadagni quando la volatilità è alta. Se i titoli si muovessero ogni giorno dello 0,1% sarebbe molto più difficile monetizzare le attività di trading. Resta il fatto che siamo entrati nelle ultime due settimane dell’anno che, statisticamente, sono favorevoli per i listini azionari. Senza prenderla troppo alla larga, negli ultimi 10 anni il  Ftse Mib è salito 9 volte su 10 da metà di dicembre a San Silvestro, il Dow Jones statunitense ha fatto bene nel 80% dei casi. Sarà anche così quest’anno?

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Le premesse sono favorevoli. Perché ieri sono arrivate due notizie “rialziste”. La Federal Reserve, nell’ultima riunione dell’anno, ha scacciato l’ipotesi di un rialzo a breve (entro aprile 2015) dei tassi. Il governatore Yanet Yellen ha usato la parola «pazienza», oltre a riconfermare il «considerevole» periodo di tempo prima di un rialzo dei tassi. Rialzo che sposterebbe capitali dal settore azionario all’obbligazionario e che quindi è “malvisto” dalle parti di Wall Street. Non a caso ieri l’indice Dow Jones ha messo a segno un roboante rialzo (+1,69%) festeggiando l’atteggiamento espansivo della Fed.

La seconda notizie favorevole ai mercati arriva dall’Europa. La Bce ha aperto al quantitative easing, ovvero all’ipotesi di acquistare titoli di Stato dell’Eurozona per immettere nuova liquidità nel sistema. La reazione è stata immediata: questa mattina i tassi decennali dei bond govnernativi dell’Eurozona stanno aggiornando a cascata i minimi storici (BTp all’1,94%, Bund allo 0,62%, ecc.). E corrono anche le Borse con rialzi vicini al 2%.

Mentre, sempre sul fronte delle notizie capaci di spostare l’umore degli investitori, si attendono nuovi dettagli dalla Russia (il rublo sta recuperando terrendo dopo la caduta delle ultime settimane dopo nuove misure annunciate dalla Banca centrale russa ma siamo lontanissimi dal poter dire che la crisi è rientrata) e dalla Grecia (gli investitori temono che dalle elezioni presidenziali in corso la maggioranza di governo non riesca ad esprimere il proprio candidato, il che porterebbe ad elezioni anticipate che nei sondaggi vedono in vantaggio Syriza, partito favorevole alla rinegoziazione del debito). Senza dimenticare il terzo focolaio, il prezzo del petrolio in caduta libera che sta alimentando tensioni geopolitiche e una guerra di nervi tra Usa, Opec (l’Organizzazione dei principali produttori di petrolio) e Russia.

Da un alto quindi, Fed e Bce a sostenere i mercati. Dall’altro le mine Russia, Grecia e petrolio. L’andamento dei mercati nei prossimi mesi ballerà su questi nodi. In ogni caso, tornando al brevissimo periodo (quello che più interessa la grande speculazione) prevarrano le notizie buone (Fed e Bce) ai focolai non estinti (Russia, Grecia e petrolio)?

Ci sarà, in sostanza, il rally di fine anno per le Borse? Fin dove può arrivare a breve Piazza Affari?

«A mio parere sì, ma non oltre i 20.000 punti che si sono rivelati una resistenza psicologica per il mercato. Fed e Bce saranno favorevoli ai titoli bancari del Ftse Mib mentre certamente la discesa del petrolio favorirà i titoli industriali – sottolinea Massimo Siano head of Southern Europe per Etf Securities -. Non dimentichiamoci che Italia, Cina e Giappone sono i paesi che storicamente beneficiano maggiormente sulla discesa del prezzo del greggio essendo forti importatori netti di combustibile».

Per Francesco Previtera, responsabile equity research di Banca Akros –Esn «un target tecnico di 20.800 per il Ftse Mib sembra essere raggiungibile. A reagire sarebbero i settori più penalizzati nella correzione a partire da energetici e finanziari».

Secondo Federico Mobili, responsabile equity di Bnp Paribas Ip «nel breve termine il Ftse Mib dagli attuali 18.885 potrebbe proseguire il rialzo delle due sedute precedenti fino ad arrivare come primo obiettivo a 19.254 e come secondo obiettivo a 19.473. quindi dai livelli attuali potrebbe salire ancora del 3.26%».

«Come recentemente evidenziato in diverse analisi pubblicate i modelli proprietari Evidence Based Performance Analysis hanno mantenuto un profilo prevalentemente positivo sulle attese per fine anno inerenti il mercato borsistico domestico che, pur penalizzato da alcuni temi specifici, risulta in condizione di recuperare significativamente terreno nelle prossime sedute. Nello specifico, l’attesa di chiusura a fine anno risulta superiore ai 20.000 punti dagli attuali 18.885 punti per il FTSE MIB», spiega Riccardo Ambrosetti, presidente di Ambrosetti Asset Management Sim.

«Entrambe le Banche centrali sono evidentemente ancora orientate a sostenere gli investimenti e la fiducia. Inoltre la scadenza tecnica più importante dell’anno, che riguarda opzioni su azioni e indici e future su indici, si esaurirà tra stasera e domani. Questo dovrebbe liberare risorse dai book dei trader e degli operatori che possono pensare all’anno prossimo – spiega Tommaso Federici, responsabile gestioni Banca Ifigest -. La sensazione è che quindi l’indice italiano possa tornare a ridosso dei 20’000 punti per fine anno. È vero anche però che nel breve periodo continueranno a pesare sui mercati le conseguenze del violento ribasso del prezzo del petrolio, crisi Russa, e le incertezze sul risultato delle elezioni presidenziali Greche, voto decisivo il 29 Dicembre per scongiurare elezioni politiche anticipate».

Per Massimo Massimilla, partner di Algebris Investment «riguardo a Piazza Affari, i presupposti per un piccolo rally di fine anno (5-7%) ci sono, dato che la riforma sul lavoro va avanti e i timori sulla Russia e sullo stato dell’economia europea sono probabilmente eccessivi».

Secondo Daniele Vadori, responsabile investimenti azionari di Finint «Il mercato ha mostrato di essere molto nervoso in queste ultime sedute. L’apertura della Bce ha dato il segnale atteso e il rialzo non ha tardato a farsi sentire. Pesano però anche le variabili al di fuori dell’Europa, Russia e petrolio in primis. Ci aspettiamo che avvenga il recupero dello shock delle prime due settimane di dicembre per ritornare ai precedenti livelli a 19.500/20.000, ma non in maniera lineare».

A parere di Carmine Grimaldi, responsabile Servizio consulenza Portafogli di Banca Federico Del Vecchio «le dichiarazioni rilasciate negli ultimi giorni dalla Bce e dalla Federal Reserve hanno contribuito a rasserenare il clima sui mercati. Nell’area euro il consensus è che nel 2015 ci sarà l’acquisto di titoli da parte della Banca centrale. Ad ogni modo restano ancora alcuni elementi (calo prezzi del petrolio, tensione in Russia, attesa elezioni in Grecia) che frenano la confidenza di alcuni investitori. In questo contesto, l’indice azionario Ftse Mib ha rimbalzato intorno al valore di 18.000 punti, buon livello di supporto e, nel breve termine e a meno di notizie negative sul fronte macro, potrebbe spingersi al rialzo fino a 19.500 punti ed, eventualmente in caso di tenuta dei livelli, fino a quasi 20.000 punti».

Ma c’è anche chi non è d’accordo con il canonico rialzo di fine anno. Per Vadori «è consigliabile prestare molta attenzione a prendere posizioni speculative rialziste: potrebbero esserci altre sedute di assestamento».

Per Stefano Fabiani, responsabile gestioni patrimoniali di Zenit Sgr«l’atteggiamento accomodante della Fed, sempre attenta a calmierare la volatilità dei mercati finanziari, e la fiducia in una azione futura della Bce, hanno messo una pezza alla volatilità causata dal crollo del petrolio e dall’incerta soluzione delle elezioni presidenziali greche. Le possibilità di vedere, nei pochi giorni rimasti alla fine dell’anno borsistico, un recupero dei valori degli indici sono quindi sicuramente aumentate, anche se molto si basa proprio su una stabilizzazione della situazione in Russia e su un esito positivo, che potremo avere solo il 29 Dicembre, delle votazioni in Grecia. In assenza di cattive notizie su questi due fronti il Ftsemib potrebbe riportarsi in area 20.000 / 20.500, recuperando così lo scivolone di inizio dicembre».

«Nell’attuale contesto di mercato con l’attenzione verso alcune forti debolezze nella tenuta di alcuni Paesi Emergenti, a pochi giorni dalla chiusura dell’operatività annuale, riteniamo improbabile che possa concretizzarsi un rally di fine anno – spiega David Basola, responsabile Italia di Mirabaud am -. Riteniamo invece che possa prevalere un atteggiamento di presa di beneficio per materializzare i risultati conseguiti. Anche per l’indice italiano non ci aspettiamo fiammate positive».

Fonte : Il Sole 24 Ore

La Svizzera mostra i muscoli ai mercati: tassi sotto zero per svalutare il franco

imagesÈ il prezzo del successo. La Banca nazionale svizzera ha dovuto introdurre tassi negativi per contenere la forza del franco svizzero. Per mantenere il cambio non oltre quota 1,20 per un euro, il governatore Thomas Jordan ha preso una decisione molto coraggiosa. Ha portato il corridoio per il tasso Libor a tre mesi dal precedente 0-0,25% al -75%-+0,25%: un taglio e insieme un allargamento del range (che è tornato alle dimensioni normali di un punto percentuale). Il mercato ha reagito subito alla notizia con una flessione del franco dello 0,7% sull’euro a quota 1,20381, il più forte calo da nove mesi, poi però la moneta ha recuperato in parte terreno

Le banche e le altre istituzioni inoltre pagheranno lo 0,25% per tenere depositi alla Bns in eccesso di una soglia di esenzione (oggi pari a 20 volte la riserva obbligatoria o a 10 milioni di franchi per chi non è soggetto all’obbligo di riserva), uno schema già adottato dalla Danimarca. Altre mosse sono possibili, ha spiegato la banca centrale.

In deflazione per quattro trimestri
È una mossa complessa che è stata resa possibile dal fatto che, qualche giorno fa, la Banca nazionale svizzera ha pubblicato nuove previsioni di inflazione che indicano una deflazione (tecnica) per quattro trimestri a partire da quello attuale e il ritorno a un’inflazione dell1% nel 2017. L’obiettivo della politica monetaria svizzera è di tenere la dinamica dei prezzi – valutata attraverso le previsioni di inflazione – al di sotto del due per cento (e non necessariamente vicino a questa soglia). Le previsioni presuppongono tassi a zero, un franco in deprezamento e, molto probabilmente, un petrolio a livelli più elevati degli attuali.

A tutti i costi contro il rialzo del franco
Questa deflazione “tecnica” permette alla Bns di dedicarsi al cambio, che non è in realtà un obiettivo della politica monetaria. Per un paese piccolo e molto aperto agli scambi come la Svizzera, il cambio incide però moltissimo su inflazione e aspettative di inflazione. Il governatore ha quindi citato la forza del cambio – che la Banca centrale tiene al di sotto della soglia di 1,20 – come l’unico fattore che ha portato alla decisione di introdurre tassi negativi. Jordan ha anche ripetuto, con forza, che è intenzione della Bns di acquistare valuta estera «in quantità illimitate» e «con la più grande determinazione». Si tratta di evitare che un franco forte si trasformi in qualcosa di analogo a un rialzo dei tassi, irrigidendo – come dicono gli economisti – le condizioni monetarie del paese.

Nuovi flussi di denaro in arrivo
La domanda di denaro, di franchi svizzeri, è tale che la Bns può davvero permettersi di aumentare a dismisura le dimensioni del bilancio. La crisi del rublo e i flussi di capitale in uscita dalla Russia insieme, in prospettiva, a una politica monetaria più espansiva in Eurolandia hanno reso necessaria questa mossa. Le pressioni sul franco, che è ancora percepito come un “porto sicuro” per gli investimenti finanziari grazie alla buona gestione economica del paese, sono infatti in crescita.

Disincentivare le speculazioni
Funzionerà? La manovra appare ampia e coraggiosa. «È chiaro – spiega Michael Saunders di Citigroup – che la Bns ha posto la soglia di esenzione a un livello che non penalizza le banche perché detengono elevate riserve, gonfiate come effetto collaterale degli ampi interventi della Bsn sul mercato valutario, ma che punta a spingere il tasso interbancario ben al di sotto di quota zero». In questo modo almeno la parte più speculativa dei flussi di capitale dovrebbero essere scoraggiati. «Al di là degli effetti diretti dei tassi negativi, pensiamo – aggiungono infatti Kathrin Goretzki e Martina von Terzi di Unicredit – che il segnale inviato dalla Bsn sia più forte: mostra che la banca centrale è impegnata a fare quel che dice (in putting its money where its mouth is, mettere i soldi dov’è la bocca, nell’originale). Questo aumenta la sua credibilità e rende molto più rischiosa una scommessa “contro la banca centrale”» ossia contro la sua capacità e determinazione a impedire un rialzo del franco.

Fonte: Il Sole 24 Ore

Fed al crocevia: crisi europea e petrolio danno voce a chi esorcizza i rialzi dei tassi

downloadNew York – Forse la Fed oggi cambierà davvero come da copione la fraseologia, emenderà il suo comunicato cancellando quella promessa di mantenere ancora “a lungo” tassi di interesse ai minimi. E così facendo compirà un altro passo per consegnare la staffetta di una politica monetaria ultra-accomodante all’Europa. Ma a Wall Street, tra le pieghe del mercato e del consensus, delle previsioni medie e non sempre indovinate, si fa in realtà strada un insistente ritornello “ribelle”: not so fast. Piano, con i rialzi dei tassi.

Perché l’economia globale resta in bilico, con la Cina che rallenta e un’Europa senza cure per la sua malattia. Perché incognite e rischi sono semmai in aumento, quelli strettamente economici come quelli politico-economici: il crollo dei prezzi del petrolio scuote profondamente paesi ben al di là del Medio Oriente, che vanno dal Brasile al Venezuela. Fino a una Russia che ha gia’ mostrato una preoccupante propensione alle soluzioni militari dei problemi.

Non solo. Il greggio scuote anche un settore strategico statunitense, quello dell’energia, che potrà essere minoritario quando paragonato all’insieme dell’economia e dei consumi che beneficiano nell’immediato di cali nei carburanti ma la cui crisi puo’ avere conseguenze a catena. Può facilmente contagiare altri comparti aziendali e avere effetti a cascata sulla piazze finanziarie, alimentando fughe dal rischio in molteplici categorie di asset. Un esempio? Che dire delle obbligazioni spazzatura ormai fonte cruciale di finanziamento di tante imprese che nulla hanno a che fare con l’energia?

Il premio Nobel e decano degli economisti liberal Paul Krugman ha di recente dato alle stampe il proprio pronostico pubblico che il 2015 non vedrà alcun rialzo dei tassi d’interesse americani da parte della Banca centrale. La sua non è una posizione isolata, limitata all’accademia o alle correnti progressiste. Mark Grant, managing director di Southwest Securities, è una simile voce di dissenso dal “consensus” meno pubblica e non ideologica ma in prima fila a Wall Street. «La Fed sarà costretta a riesaminare qualunque nozione di aumento dei tassi dagli eventi mondiali», scrive.

Il suo ragionamento, affidato ad una lettera quotidiana ai clienti, considera molteplici fattori di tensione, dalle ripercussioni dei movimenti del petrolio ai numeri del mercato del lavoro americano, che considera esageratamente rosei perchè non tengono conto di una disoccupazione nascosta dalla fuoriuscita di troppi dalla forza lavoro. E’ l’Europa, però, uno dei nodi principali.

Il pessimismo sui dilemmi dell’Eurozona è forse estremo, ma riflette uno scetticismo diffuso. Il tanto invocato “bazooka” di Mario Draghi appare a Grant e ai critici come lui poco più di un’arma giocattolo. Non e’ affatto convinto che la Germania gli consentirà di usare proiettili veri di Quantitative Easing. E, se anche fosse, il loro impatto potrebbe non “uccidere” crisi e recessione. I tassi d’interesse europei sono già scesi sotto ogni ragionevole livello, stando ai dissidenti statunitensi, e non hanno più alcun cammino da percorrere al ribasso. Ingenti stimoli sotto forma di aiuti alle banche hanno inoltre dimostrato ben poca efficacia per l’economia reale europea.

Mentre la battuta a Wall Street è che le cattive condizioni dell’economia del Vecchio continente sono imbellite dalle statistiche ufficiali: Grant è un duro critico della scelta di includere nel Pil attivita’ illegali, che non generano entrate per lo stato, e di contare quali asset e non come liabilities la spesa in ricerca e quella militare.

Questo quadro niente affatto roseo, nonostante le promesse della Fed di guardare solo in casa propria (ma la casa è ormai un villaggio globale), dovrebbe consigliare una rotta ben diversa da una qualche stretta sui tassi da metà dell’anno prossimo. I dissidenti non darebbero troppo peso neppure a un cambio del linguaggio nel comunicato per tener fede ad attese create tra gli operatori, una svolta che si farebbe sempre in tempo a correggere nuovamente quando le bufere internazionali si faranno sentire nei primi mesi del 2105 negli Stati Uniti.

Con un’Europa in ineluttabile crisi, oltretutto, fughe di capitali verso le comunque più solide e affidabili sponde americane continueranno e semmai accelereranno anche senza aumenti del costo del denaro, che rischierebbero soltanto di aggravarle eccessivamente. I bond statunitensi per Grant sono così destinati a rendimenti ancora in calo l’anno prossimo. La Borsa a perdere forse oltre il 10 per cento. E i tassi interbancari manovrati dalla Fed a restare fermi dove sono. Parola di dissidente.

Fonte : Il Sole 24 Ore

 

Rendimenti greci alle stelle. Grande rischio o grande opportunita’?

La decisione a sorpresa dal premier greco di anticipare le elezioni del presidente della Repubblica, ha spiazzato completamente il mercato obbligazionario greco, i cui rendimenti sono vorticosamente risaliti fino a raggiungere la doppia cifra.

downloadDal 17 al 29 dicembre si svolgeranno infatti i tre turni elettivi in cui il parlamento esprimerà il proprio voto sul candidato Stavros Dimas, proposto dal partito di Nuova Democrazia attualmente al governo con il partito del Pasok. A fronte della maggioranza di 200 voti richiesti nelle prime due tornate ( attese per il 17 dicembre e in seguito per il 23 dicembre) ridotti poi a 180 nella terza votazione del 29 dicembre, al momento gli ultimi conteggi depongono in favore di una incapacità di raggiungere i numeri richiesti, con il rischiodunque molto concreto che si debbano sciogliere le camere e andare a nuove elezioni politiche già a fine gennaio.

I sondaggi elettorali danno vincente il partito di Syriza, capitanato da Alexis Ttsipras, che ha fatto della rinegoziazione degli accordi con la Ue e della richiesta di una ristrutturazione del debito greco la bandiera della propria campagna elettorale. A questo punto è dunque chiaro che i mercati obbligazionari, preda dell’incertezza sul futuro politico della Grecia, hanno venduto a piene mani i bond ellenici di tutte le scadenze, in particolar modo gli ultimi emessi solo pochi mesi fa con scadenza triennale e quinquennale.

Lo scenario a nostro avviso più probabile avalla l’ipotesi che entro dicembre il parlamento greco effettivamente non riuscirà ad esprimere una fumata bianca con il risultato che seguiranno elezioni politiche il mese successivo. E’ molto probabile quindi che nelle settimane a venire i titoli greci possano essere sottoposti ad una continua turbolenza con ampie oscillazioni dei prezzi che probabilmente culmineranno tra la fine dell’anno e l’inizio del prossimo. Anche nell’ipotesi , da noi ritenuta più probabile, che il paese si avvii ad elezioni anticipate e che vinca il partito di Syriza, ci sembra comunque ragionevole supporre che difficilmente questi nuovi titoli possano essere sottoposti a ristrutturazione, soprattutto per la loro scarsa incidenza sul debito greco complessivo, superiore ai 300 miliardi composto per oltre i due terzi da debiti verso le pubbliche istituzioni ( UE, FMI, BCE). Se il partito di Syriza si farà portatore di una richiesta di riduzione del debito, lo farà probabilmente per la parte per cui la Grecia è debitrice verso gli organismi internazionali, piuttosto che verso il settore privato già pesantemente colpito solo 3 anni fa da un haircut pari al 70% dei propri crediti.

In sostanza dunque seguire nelle prossime settimane l’andamento dei rendimenti dei bond greci a 3 e a 5 anni potrebbe essere interessante nell’ipotesi di valutarne un possibile investimento in un’ottica certamente di rischio molto elevato e quindi molto limitata nel peso del proprio portafoglio complessivo, ma con ragionevoli motivazioni che la volatilità possa successivamente rientrare e trasformarsi in una interessante opportunità.

Fonte : FondiOnLine

Cina sempre più in panne. Giù anche inflazione e immatricolazioni di auto

chinaslowdown.t.W300.H188.M4 2Nuovi segnali preoccupanti dall’economia cinese.
Secondo gli ultimi dati del National Bureau of Statistics, a novembre i prezzi al consumo sono diminuiti dello 0,2% su base mensile dopo la variazione nulla di ottobre. A livello tendenziale sono saliti invece dell’1,4% dopo il +1,6% di ottobre e a fronte del +1,6% atteso dagli analisti, posizionandosi ai minimi degli ultimi 5 anni.
Segnano il passo anche i prezzi alla produzionemostrando, sempre a novembre, un crollo del 2,7% dopo il -2,2% di ottobre. Gli analisti stimavano una caduta più contenuta del 2,4%.
Rispetto a ottobre, invece, la discesa è stata dello 0,5%.

Secondo gli economisti questo forte rallentamento dell’inflazione potrebbe spingere la Banca Centrale cinese (People’s Bank of China, o PBOC) a varare nuove misure di allentamento dell’economia in aggiunta al taglio dei tassi di interesse operato a fine novembre.

Anche il mercato dell’auto, fino a qualche anno fa Eldorado delle grandi case automobilistiche, comincia ad accusare il rallentamento dell’economia.
Dagli ultimi dati dell’Associazione dei produttori di auto è emerso che a novembre le immatricolazioni sono salite del 4,7% a quota 1,8 milioni di veicoli, portandosi sui livelli più bassi di quasi due anni.
Queste statistiche si sommano a quelle deludenti diffuse di recente sull’export e sulla manifattura.
Inoltre nel terzo trimestre il PIL è cresciuto al ritmo più lento degli ultimi cinque anni.

Fonte : teleborsa

Portafoglio Dinamico

E’ un portafoglio che abbiamo ideato e strutturato, con livelli significativi di rischio, mira a cogliere appieno le opportunità che i mercati offrono attraverso la diversificazione.

Obiettivi

  • Perdita massima contenuta entro il 15%
  • Rendimento prossimo al 6%

Strategie
La diversificazione è realizzata a livello di tipologia di strumenti, area geografica e scadenze obbligazionarie

  • Quota azionaria non superiore al 50%
  • Massima diversificazione

 

Caratteristiche di portafoglio
Percentuale azionaria 50,00 %
Volatilità 8,50 %
Rendimento 6,00 %
Sharpe 0,44

Diversificazione

Asset Class Percentuale
Azionario USA Difensivi 6,00%
Azionario USA Aggressivi 10,00%
Azionario Europa 7,00%
Azionario Giappone 11,00%
Azionario Paesi Emergenti 16,00%
Obbligazionario Europa Breve Termine 13,00%
Obbligazionario Europa Lungo Termine 20,00%
Obbligazionario Europa Corporate 17,00%